Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Metà XIX Secolo. Edgardo Mortara, sesto figlio di una coppia bolognese di religione ebraica, è strappato in tenera età alla famiglia ad opera delle autorità pontificie; ne è motivo l'avvenuto battesimo del piccolo. La famiglia intraprende una dura battaglia, le cui sorti s'intrecciano con le vicende storiche connesse al processo di unificazione politica d'Italia, al fine di ottenere la restituzione del giovane, il quale nel frattempo, inviato a Roma, ho occasione di divenire il "favorito" del papa. Pio IX, dettagliatamente informato della vicenda, si oppone al rientro di Edgardo in famiglia, facendone una questione di forza e prestigio del potere, temporale e non, ecclesiastico. Marco Bellocchio rievoca un fatto storico, analizzando le conseguenze di quanto accaduto sia sotto il profilo pubblico, sia sotto il profilo privato. Riguardo il primo aspetto, ci dà conto di alcune dettagli del contesto sociale dell'epoca, particolarmente fluido poichè influenzato da importanti "sommovimenti" politici. Il bambino Edgardo è battezzato per iniziativa di una serva, la quale, temendo per la salute del piccolo, messa in pericolo da una malattia, recita con estrema precisione la formula consona all'imposizione del sacramento; tale scelta è dettata dalla volontà d'impedire che l'infante, in caso di decesso, finisse nel "Limbo", la cui esistenza è riconosciuta dalla religione cattolica. Ciò non ha alcun valore per la famiglia di origine, di religione ebraica; ma rende Edgardo "cosa della Chiesa", la quale esercitando in forma "temporale" una sua prerogativa "spirituale" lo sottrae alla famiglia ebraica in cui ha origine per crescerlo entro il suo seno. La famiglia Mortara vede respinti i ripetuti tentativi di riavere quel figlio ingiustamente sottratto. Dapprima ad opera della stessa autorità ecclesiastica, già solerte esecutrice dell'azione, nella persona del prefetto Feletti; successivamente, nonostante fortissime pressioni mediatiche e politiche, ad opera del papa. Cedere sarebbe una sconfitta, religiosa e politica, per l'establishment cattolico, già sottoposto a tensioni inarrestabili. Una regione dietro l'altra, l'Italia procede verso l'unificazione sotto la bandiera sabauda. Giunge il 1870. I familiari di Edgardo, infine, riescono a congiungersi con il fratello, nel frattempo divenuto giovane adulto. Me egli, ormai, è un sacerdote devoto al papa Pio IX, il quale, nel corso degli anni di permanenza nella Città Eterna, gli ha riservato attenzioni speciali. Le autorità ecclesiastiche sono dunque riuscite a recidere il legame religioso tra Edgardo e la sua famiglia, ma non quello affettivo, almeno per lato del protagonista. I suoi fratelli, infatti, non possono accettare che egli sia diventato cattolico, memori del tanto dolore causato ai genitori dalla separazione forzata e del conseguente impegno profuso per riportarlo a loro. L'epilogo lascia aperto un interrogativo. E' fuor di dubbio che Edgardo abbia inizialmente sofferto, a seguito del distacco, e sia stato sottoposto ad una sorta di "lavaggio del cervello"; ma, ormai avviato lungo un percorso che dimostra d'affrontare con entusiasmo e dedizione, è giusto intralciarne il cammino o serbargli rancore ? Allo spettatore, la risposta. Edgardo, apparendo in varie età, è interpretato da diversi attori; il bambino, da Enea Sala; il ragazzo, da Leonardo Maltese. Fabrizio Gifuni è l'arcigno prefetto Feletti; Paolo Pierobon il papa Pio IX, un personaggio controverso. Potremmo d'istinto giudicarlo negativamente; ma dobbiamo tener conto dello spirito dei tempi. Egli, quale capo del cattolicesimo, si trovò investito del compito di sostenere il potere temporale della Chiesa. Intorno a sè, tutto cambiava; il processo di mutamento era inarrestabile ed egli, da persona intelligente qual è tratteggiata, ne era di certo consapevole, ma, da simbolo e guida di quel potere millenario, non era nelle condizioni di poterlp assecondare. Fu sconfitto ed odiato; ma non gli si può rimproverare mancanza di coerenza. I genitori di Edgardo sono interpretati da Fausto Russo Alesi - papà Salomone, cheto nei modi e dall'indole razionale, pronto a battersi di fronte ad ogni giurisdizione - e Barbara Ronchi - la mamma, Marianna Padovani, più incline ad azioni istintive. Il racconto ha un ritmo costante; ben ricostruiti, con predominanza di colori scuri, sono gli scenari di interni ed esterni; coerenti i costumi. La oltre due ore di durata consentono al regista di affrontare con compiutezza i molti temi introdotti. Non è solo la vicenda umana - con relative connessioni politiche - di Edgardo e la sua famiglia in primo piano; anche la questione dell'unificazione nazionale è ben impostata. Il racconto si apre descrivendo una penisola lacerata socialmente e politicamente, ancor terra di conquista per lo straniero; l'assenza di uno stato di diritto; il dilagare di superstizioni. Si chiude con l'immagine di un'Italia ormai Stato unitario e con i connotati di una nazione moderna; l'affermarsi del diritto, unico e garantista; libertà di circolazione; laicità. "Rapito" è un'opera di ampio respiro; può essere considerato un film storico, biografico, drammatico. Gli elementi dei tre generi si fondono perfettamente, in una narrazione "asciutta", secondo lo stile del regista, ma in grado di stimolare la curiosità e la riflessione dello spettatore.
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