Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
"Rapito" conclude alla grande un quartetto di film, tutti presentati al festival di Cannes, con cui Marco Bellocchio ha dimostrato una vitalità artistica eccezionale che fa di lui, probabilmente, il più grande regista cinematografico italiano vivente e in attività. "Rapito" è un film storico-biografico per certi versi inconsueto che riprende, però, alcuni cardini del discorso che sottende tutto il cinema di Bellocchio, in particolare l'abuso di potere, in questo caso della Chiesa Cattolica (si direbbe una scelta non casuale) su un bambino ebreo e sulla comunità israelita, che portò ad uno scandalo internazionale anche se, paradossalmente, il bambino in questione non avvertì il rapimento come una violenza e, cresciuto, difese strenuamente la fede cattolica, arrivando a voler convertire perfino i suoi familiari. Basato su un libro di Daniele Scalise che ricostruisce il caso Mortara con approfondita precisione, sceneggiato insieme alla regista Susanna Nicchiarelli e montato dalla fedelissima Francesca Calvelli, "Rapito" è un film rigoroso che tiene lo spettatore per oltre due ore col fiato sospeso, scorre su un ritmo sostenuto e si avvale di una rievocazione d'ambiente spesso magistrale, soprattutto nelle numerose sequenze di interni in chiese o edifici ecclesiastici, benissimo fotografati da Francesco Di Giacomo e ripresi da Bellocchio con uno scrupolo di composizione figurativa ancor superiore rispetto ai pregevoli "Il traditore" o "Esterno notte". Se si vuole fare un appunto al grande regista, probabilmente si può rimproverare la non perfetta gestione degli elementi melodrammatici, con alcune sequenze (un esempio: Edgardo che va a trovare la madre in fin di vita) che finiscono per apparire un po' troppo romanzate, non perfettamente in linea con l'approccio realistico predominante. Tuttavia il film, oltre alle indubbie gioie per gli occhi, riserva momenti di forte pathos, qualche scivolata didascalica e un'ottima caratterizzazione delle figure principali, con una menzione speciale per la madre di un'intensa Barbara Ronchi, il Pio IX di Paolo Pierobon, figura dipinta nel suo assillo di conservare un potere temporale fuori dalla Storia, il Momolo di Fausto Russi Alesi, ormai attore feticcio di Bellocchio, nonché l'Edgardo adulto del promettente Leonardo Maltese, mentre l'Edgardo bambino di Enea Sala risulta comunque convincente e ben calibrato in alcuni momenti di non facile restituzione emotiva. Nel complesso l'ennesima sfida vinta per l'83enne regista e un film storico nutrito di dolore e indignazione che bisogna correre il rischio di vedere.
Voto 8/10
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