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Rapito

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Rapito

di Gangs 87
8 stelle

Bologna 1858, il piccolo Edgardo Mortara, nato da una famiglia ebraica, viene sottratto alla famiglia d’origine perché insignito del battesimo, all’insaputa dei genitori, e pertanto cristiano. Le leggi dello Stato Pontificio, di cui all’epoca Bologna faceva parte, vietavano a persone di altre fedi di crescere i cristiani, e pertanto i gendarmi portarono via il bambino, all’epoca aveva poco più di sei anni, venne cresciuto in un collegio cattolico in quel di Roma diventando infine sacerdote.

 

Il coinvolgente racconto di Marco Bellocchio parte da quella fatidica sera in cui l'inquisitore di Bologna, padre Pier Felett, ordinò il prelevamento del bambino dalla casa familiare; da quel momento in poi Bellocchio ne segue gli sviluppi, con il trasferimento a Roma e la conseguente battaglia dei Mortara per avere indietro il figlio. Concentra l’attenzione sui primi anni del fatto, anni in cui il vile gesto attirò l’attenzione dell’opinione pubblica sia in Italia che all’estero riempiendo così la prima parte della narrazione e lasciando nella seconda l’età adulta di Edgardo, l’indotta decisione di abbracciare definitivamente la fede cattolica fino a prendere i voti da sacerdote.

 

Il percorso raccontato, pur soffermandosi sui primi anni di prigionia del bambino, chiarisce in modo netto la natura delle decisioni adulte che Edgardo intraprende. In un perenne stato di confusione, di ambigui sentimenti nei confronti della Chiesa (rivelatoria la scena in cui spostano il corpo di Papa Pio XI e la carrozza viene aggredita dai passanti, e dallo stesso Edgardo), che dai ricordi risulta rapitrice ma verso la quale Edgardo non riesce a non  provare un moto di riconoscenza per l’educazione che dopotutto gli ha indotto.

 

Queste due nette linee di visione sono ben marcate durante tutta la durata della pellicola. Bellocchio non prende mai una posizione ma si limita a raccontare i fatti accaduti in modo meticoloso e dettagliato, come solo lui sa fare. Questa predilezione per i fatti realmente accaduti che si susseguono nelle rappresentazioni del regista emiliano, è diventato con il tempo un punto di forza del suo cinema, riconoscibile per qualità e dedizione verso la necessità di raccontare quelle storie d’Italia che pochi hanno il coraggio di affrontare davvero.

 

Ovviamente anche in questo caso Bellocchio ha scelto il suo cast in modo eccellente. Partendo dal piccolo Enea Sala (Edgardo da bambino) che riesce a trasmettere il terrore dell’allontanamento da casa e dalla famiglia, la necessità di ubbidire e lo smarrimento di cose nuove e persone intorno che non conosce, passando per Leonardo Maltese (Edgardo da ragazzo/adulto) che acquisisce la pacatezza della veste che indossa ma al contempo è in grado di trasformare in rancore cieco prima (vedi scene dello spostamento della salma del Papa di cui sopra) e sottomissione poi quando tenta di convertire la madre sul letto di morte. Tutte queste sensazioni ampiamente percepite convogliano nella sublime interpretazione di Paolo Pierobon che riesce a dare a Papa Pio IX l’arroganza e la supremazia che sembrano contraddistinguerlo, regalandoci una performance di altissimo livello che predomina su chiunque condivida la scena con lui.

 

Rapito è un film delicato e violento. Coinvolgente per la sua incredula drammaticità. Un racconto schietto, senza mezzi termini che narra una vicenda (quasi) sconosciuta che porta a galla la supremazia della chiesa, l’emarginazione e la persecuzione delle religioni considerate “inferiori”, un meccanismo di potere che getta le basi per le persecuzioni future e che sembra giustificare quelle passate. Un film emozionante, di ottima fattura, ennesimo prodotto di un regista che continua ad innalzarsi tra i più grandi del nostro tempo.

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