Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Bologna, 1858. Lo Stato Pontificio è nella fase discendente della sua parabola. Gli umori della popolazione e le tensioni risorgimentali stanno per delegittimarne il potere politico. Papa Pio IX, uno dei tanti criminali sanguinari che si sono succeduti sullo scranno di Pietro, fa rapire Edgardo Mortara, un bambino ebreo di sei anni, strappato alla propria famiglia in nome di un dogma del cristianesimo in ragione del quale, ormai battezzato (di straforo e a insaputa dei genitori), la sua strada è segnata verso l'educazione cattolica. Il film ricostruisce la traiettoria di quella vicenda, tra inquisizione, educazione al cristianesimo, preghiere, catechismo, lavaggio del cervello, manipolazione, mortificazioni, ricadute giudiziarie, fino alla breccia di Porta Pia e alla morte del Papa re.
Con Rapito, Bellocchio dà fondo a tutta la sua arte cinematografica, tra sontuose ricostruzioni nelle scene di massa e affondi metafisici. La frenesia estetica finisce per divorarsi una parte dei contenuti, con un'eccessiva sottolineatura dei riti religiosi e una maestosità - spesso sottolineata dall'enfasi della colonna sonora che contiene brani di Pärt e Shostakovich - che tracima in qualche barocchismo di troppo. Ed è un peccato, perché in Rapito ci sono momenti di grande cinema, al quale il regista di Bobbio avrebbe potuto associare una dose ben maggiore di coraggio. Ma, si sa, quasi tutta la sua poetica è incentrata sul rapporto (irrisolto) con la religione, e quelle che avrebbero potuto essere stilettate verso la Chiesa diventano buffetti poco incisivi. Un'occasione parzialmente sprecata, poiché dal caso Mortara a quello Orlandi - per tacere dell'olocausto americano o dei millanta casi di pedofilia - il materiale per raccontare le malefatte perpetrate in nome di Dio non sono certo mancate.
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