Regia di Hal Hartley vedi scheda film
Approda con tre anni di ritardo rispetto alla sua presentazione in concorso a Cannes ’98, la quintultima fatica (l’ultima, “No Such Thing”, era sulla Croisette quest’anno) dell’appartato, solitario Hal Hartley, autore degli amati (anche in Italia), “Trust”, “Simple Men”, “Amateur”, “Flirt”. La follia evocata dai due titoli (sia originale che straniero) è quella di un genio (forse), di un megalomane (improbabile), di un grande scrittore (chissà...). Un uomo che ha imparato a osservare dal suo piccolo angolo (un lavoro “umile ma onesto”) il mondo e i suoi stralunati, pazzi (questi sì, quasi davvero) personaggi che ruotano casualmente o meno intorno ai suoi occhiali di intellettuale della strada. Henry è un poeta? I suoi scritti sorprendono, le sue “minute” cercano disperatamente di azzerare la distanza, che pare incolmabile, creatasi tra lui e gli altri. E qualche donna, con colpevole ritardo, si accorgerà della sua chiara onestà e del suo modo di vedere le cose. Ad Hartley, questi giochini fatti con le persone come fossero pedine di un’ideale scacchiera del destino, piacciono assai e vengono spesso bene. L’ironia è sottilissima, la regia invedibile (nel senso buono) e gli interpreti funzionali ai percorsi trasversali. Da segnalare l’incredibile somiglianza del protagonista, Jay Ryan, con Silvio Soldini: praticamente il suo sosia. L’aria serena del cinema indipendente partorisce senza drammi né cesarei.
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