Regia di Alejandro Amenábar vedi scheda film
Notevole esordio del regista spagnolo A. Amenabar con un thriller ad alta tensione dal primo all’ultimo frame. Angela è una studentessa che lavora alla sua tesi di laurea sulla violenza negli audiovisivi, per documentarsi cerca materiale sempre più cruento fino ad arrivare agli snuff movie, presunti film amatoriali che riprendono torture efferate su vittime che culminano con la loro morte. Amenabar rappresenta uno dei punti cardine del dibattito interno al cinema e al mondo dell’immagine, sulla sua attribuzione di verità, di realtà estrema. Lo snuff toglie il filtro della finzione e della bugia, alza lo schermo e mostra le crepe nel muro. Cronenberg ci aveva provato con Videodrome, intossicando però ideologicamente il racconto con un disegno nascosto del potere, Tesis è meno costruito, addirittura più vicino nella sostanza a crudeli fatti di cronaca che quotidianamente ci vengono sbattuti davanti in nome del diritto di essere informati. Senza etica, ne alcuna morale, è così si realizza una forma di verità? Tesis si muove su linee narrative avvincenti che mettono lo spettatoreosservatore da subito su di un piano privilegiato rispetto all’azione filmica. Gli autori dei filmati che Angela guarda prima con ritrosia poi con sempre maggiore attenzione, sono coloro che producono l’atto violento e che non possono vedere oltre il limite dell’immagine, chi invece guarda supera quel confine, penetra nella crepa che l’immagine apre, ne subisce le conseguenze. Il regista media comunque lo shock visivo, il trauma passa dall’immagine al sonoro, alla parola, allo sgomento interno, solo tenendo vivi tutti i codici significanti che connotano una forma di comunicazione, cinema compreso ci si può avvicinare alla verità delle cose. Tesis sprigiona una dose massiccia di suspance, gioca alla perfezione con l’ articolazione del tempo e dei suoi ritmi, generando nello spettatore e in Angela un continuo stato di ansia destinato a non sgonfiarsi mai, aiutato dall’entrata in scena di personaggi sempre enigmatici dal comportamento incerto, la cui parabola se portata a termine dalla vicenda non risolve affatto gli snodi narrativi. Amenabar accumula immagini una sull’altra come stati emotivi confusi e vicino alla crisi di panico, concede involontariamente un momento di respiro nella scena della scoperta del luogo dove vengono custodite le videocassette con le torture peggiori, viene simbolicamente rappresentato attraverso un corridoio buio da percorrere come fosse l’anfratto più nascosto della mente umana, corredato da qualche sbavatura interpretativa e un po’ di chiarezza degli sviluppi ne fa una corposa sequenza dai risvolti fallimentari, per un po’ di tempo la tensione si allenta, i giochi del ritorno alla luce sfiorano il risibile, ma la parte finale non deluderà affatto. Il contenuto morale anche alla luce dei lavori successivi del regista mette in mostra la parzialità dell’immagine, la sua incompiutezza, se privata delle varianti, di segni e di codici che ne impediscono una lettura ideologicamente pornografica, imbrigliata da dogmi e schematismi . Il percorso di lettura della violenza sarà seguito dalla protagonista come una maturazione interiore sconosciuta fino allora, dimostrando che per disturbante che possa apparire l’oscuro cunicolo della mente umana su cui fare luce è un patrimonio genetico da non rimuovere, ma che invece occorre sapere interpretare. Come recita in un passaggio del film l’oscuro docente universitario rivolto ai suoi studenti: “date al pubblico ciò che vuole”. Senza curarsi delle ferite che si possono aprire, delle lacerazioni che l’incultura, l’imbarbarimento quotidiano promette in ogni tipo di scenario, con i risultati che sono sotto i nostri occhi. Bravo Amenabar, ma nelle sue fantasie sul fanta potere anche Cronenberg ci ha visto giusto.
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