Regia di Alejandro Amenábar vedi scheda film
Si parte da un’ idea originale. Ambientare un thriller all’ interno di una facoltà universitaria, allontanandosi dai cliches hollywoodiani e girando il tutto con gusto europeo.
Angela sta scrivendo una tesi sulla violenza negli audiovisivi e rimane incastrata all’ interno di una vicenda che diventa sempre più ambigua e violenta. Amenabar riesce, in maniera molto efficae, a non svelare la verità allo spettatore fino all’ ultima sequenza. In questo modo chi guarda il film è in continuo bilico sull’ identità di chi sia il sadico torturatore che gira film snuff all’ interno della facoltà.
Questo è un altro degli aspetti interessanti del film, il rapporto tra violenza e immagine. Su come l’ immagine che mostri la violenza e la pornografia sia paradossalmente più interessante ed efficace di ogni altra immagine. Proprio perchè l’ immagine violenta mostra quelle cose che nessuna altra immagine ci fa vedere e nel far questo si vuole travestire da realtà.
All’ interno del cinema, l’ immagine ha sempre uno scarto nei confronti della realtà che rappresenta. C’è una distanza tra l’ immagine e la cosa rappresentata. Mel momento stesso in cui vediamo l’ immagine, sappiamo che la realtà è da un’ altra parte e sappiamo anche che a questa realtà l’ immagine rimanda. Una poetica della distanza. Con la violenza è diverso. Soprattutto con quella estrema, come nel caso del film. Qui l’ immagine vuole tendere ad un massimo grado di realismo cercando di eliminare quella distanza che invece possiede l’ immagine finzionale. In un certo senso l’ immagine violenta colpisce fisicamente lo spettatore, provocando un senso di disgusto o paura o eccitazione. Questo perchè nella realtà non sappiamo cosa sia una tortura o uno stupro, a meno che non siamo dei sadici o abbiamo vissuto qualche violenza. Quindi vedere queste cose, senza averne avuta esperienza, ce le fa vivere in un certo senso in prima persona. L’ immagine diventa esperienza reale, ma in maniera mille volte più forte di quanto possa accadere con un normale film. Per questo i film snuff tendono al realismo assoluto, per spingere nell’ animo dello spettatore la consapevolezza di stare a guardare la realtà e non la sua rappresentazione.
Per questo la violenza andrebbe mostrata sempre attraverso un filtro artistico. Che sia ironico come in Tarantino o estetico come in Kitano. L’ importante è che la violenza, nelle immagini, diventi rappresentazione della violenza.
In Arancia Meccanica, infatti, quando Alex viene sottoposto alla cura Ludovico non ha nessuna reazione davanti alle immagini violente, proprio perchè lui quelle cose le fa nella realtà.
Amenabar, che ha girato questo film a 24 anni, dimostra di avere grande inventiva e padronanza del mezzo, e soprattutto ci fa vedere come anche qui da noi (la produzione è spagnola) sarebbe possibile girare thriller di un certo livello.
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