Regia di John Waters vedi scheda film
Stavolta il vecchio Waters dà un colpo al cerchio e uno alla botte, e se il cerchio è rappresentato dalla Hollywood dei blockbuster, la botte sono questi giovani cinefili fanatici, che usano i metodi del terrorismo in nome del cosiddetto cinema di qualità.
L'apparato usato dal regista è come al solito ipercolorato ed eccessivo, come il corpo in via di rigonfiamento di Melanie Griffith, ma il bersaglio sfugge alla sua satira, per un evidente errore d'impostazione. Chi crederebbe, infatti, che dei giovani anarcosatanisti siano disposti a morire sotto le insegne di Herschell Gordon Lewis o di William Castle? Vabbe', si dirà che Waters non postula la logica, ma allora in nome di che cosa può dire che George Cukor o Otto Preminger (ma anche certo David Lynch e certo Sam Peckimpah, pur nella loro indiscutibile eccentricità) non siano parte del sistema di Hollywood?
È evidente che quella evocata da Waters con A morte Hollywood! è una guerra persa in partenza, perché il "pubblico" vuole sempre i suoi divi e le sue dive, come dimostra anche la finale passerella trionfale che conduce la nuova stella del cinema indipendente Honey Whitlock sul red carpet che conduce al cellulare della polizia, tra due ali festanti di folla e poliziotti in assetto antisommossa. E tuttavia spara a casaccio e colpisce qualche bersaglio qua e là, ma non affonda la corazzata nemica.
Tra le battute riuscite, comunque, annovererei questa: «prima di drogarmi ero pieno di problemi. Ora li ho concentrati tutti in uno solo: la droga».
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