Regia di Agnès Varda vedi scheda film
Una cantante scopre di essere malata, in attesa di conoscere la gravità del suo male, la sua quotidianità si modifica e adatta all'ambiente, assorbendone ogni sfumatura e costringendo lo spettatore a esserne partecipe passivo. Film molto complesso, pur nella semplice messa in scena.
Uno di quei film che quasi ti costringe a dargli 4 stelle, e uso il termine costringere perché a me non è piaciuto. Soggettivamente l'ho trovato lento, noioso, palesemente artefatto (alcune scene sembravano più teatrali che cinematografiche), ma andando a guardare i valori oggettivi, c'erano valenze positive, innegabili. Lo scopo della regista era chiaramente quello di obbligare lo spettatore a una riflessione, indurlo a identificarsi con la protagonista e vi riesce, in maniera impeccabile. Laddove questa identificazione, però, non passa attraverso una mediazione emotivao un processo empatico. La protagonista è una ragazzina viziata e presa di sé, non manifesta fisicamente alcun deterioramento dovuto alla malattia, eppure nel vivere con lei la quotidianità si è costretti ad assimilare l'ambiente, captare i dialoghi tra gli avventori di un bar, tra i passeggeri di un mezzo pubblico. La monotonia di cui sopra è dunque funzionale alla narrazione, è il modo in cui lo spettatore viene obbligato a interrogarsi su cosa provi la protagonista, spaventata all'idea di non avere più tempo da vivere e costretta a immergersi nella realtà con tutti i sensi, per assaporarne le ultime istanze. L'obiettivo è stato centrato, indubbiamente e senza passare dai facili sentimentalismi e dall'empatizzazione, il che rendeva il tutto molto più difficile.
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