Regia di Camillo Mastrocinque vedi scheda film
Camillo Mastrocinque, già autore di alcuni dei migliori capitoli della saga cinematografica di Totò (solo per citarne uno, basti sapere che c’è lui dietro alla macchina da presa quando Totò detta a Peppino la celebre lettera alla “malafemmina”), realizza, nella seconda metà degli anni Sessanta, questo Un angelo per Satana, buttandosi sulla scia dei vari Bava e Freda, che andavano bene sia in Italia che all’estero. Qui usa tutto l’armamentario della narrativa gotica, da Walpole (Il castello di Otranto) a Merimée (La Venere d’Ille), passando per lo Hoffmann, che nei suoi racconti aveva già trattato l’ipnosi e il mesmerismo. Sfruttando il fascino ambiguo di Barbara Steele, vera e propria icona del genere misterioso, e le brume lacustri, Mastrocinque realizza questo giallognolo che, picchia e mena, regge alla bell’e meglio fino ad uno scioglimento che – come spesso accade nelle narrazioni di questo tipo – può risultare deludente. Se proprio si devono ingoiare delle incongruenze narrative, comunque, era meglio quando Mastrocinque ce le faceva propinare da quel genio del principe De Curtis.
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