Regia di Giorgio Ferroni vedi scheda film
Quasi dieci anni dopo "I tre volti della paura" di Bava il regista Giorgio Ferroni decide di trasformare il miglior cortometraggio dell'opera (basato su un racconto di Aleksej Tolstoj) in un lungometraggio. Si dice addio alle atmosfere gotiche di Bava e all'efficace fisionomia di Boris Karloff e si da il benvenuto a un'ambientazione boschiva claustrofobica e - ahimè - zoommate esteticamente disturbanti.
Il finale del film mi ha subito ricordato "Non si sevizia un paperino", casualmente uscito anch'esso nel 1972. Le righe che Morandini scrisse sul "Il Giorno" quindi valgono benissimo anche per questo film: <<disonestà nell'impiego della "suspence">> e <<disprezzo della logica>> danno un epilogo dolce-amaro alla pellicola. Che se da un lato si distanzia dal cortometraggio di Bava, da un altro si rivela disonesto. Prendiamo per esempio un film che utilizza un colpo di scena simile, seppure uscito quattordici anni successivamente: Aliens. Nel commento audio di quel film Cameron spiega che se rivisto, il personaggio interpretato da Lance Henriksen appare effettivamente innocente, ma anche coerente e limpido con la sua personalità. Il trucco riesce utilizzando la fisionomia sinistra dell'attore, senza creare quindi atteggiamenti ambigui. Anche Sdenka in questo film è aiutata da una fisicità che riesce ad alterare l'opinione che si ha di lei (la temperatura, il sangue), ma assume effettivamente atteggiamenti sinistri, evitando di proteggersi o di scappare per esempio. Questo può essere giustificato dal fatto che i Vurdalak uccidano solamente chi amano, ma questa spiegazione viene meno nel momento in cui i restanti membri della famiglia cercano di uccidere Nicola, che sicuramente non era più amato rispetto a Sdenka.
Il film tuttavia, seppure penalizzato da un ritmo non proprio efficace (non accadrà molto per tutta la prima metà del film), riesce a farsi stranamente seguire. Da apprezzare l'utilizzo della tecnica del flashback e alcune scene di forte impatto verso la fine come Elena che sporca di sangue il finestrino dell'auto con le dita mozzate e la scena in cui il parabrezza, ripreso dall'interno, viene distrutto da una picconata. Ho apprezzato meno il montaggio e gli effetti speciali di Rambaldi, molto meno efficaci di "Non si sevizia un paperino" uscito nello stesso anno, e dei cui effetti era lui stesso supervisore.
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