Regia di Stephen T. Kay vedi scheda film
Bisogna ammettere che il racconto “Jack’s Return Home” di Ted Lewis ha avuto sul cinema un’influenza non marginale. Ha ispirato il film culto britannico “Carter” nel 1971, una versione blaxploitation di George Armitage nel 1972 (“Hit Man”) e ora “La vendetta di Carter”, rilettura di inizio millennio, voluta da Sylvester Stallone che si è assegnato il ruolo del protagonista, impersonato trent’anni fa da Michael Caine, che qui appare in un piccolo cameo. Un discreto pedigree per un film che già dal set - non più la britannica Newcastle ma l’americanissima Seattle - mostra una certa insofferenza per la filologia. Anche stavolta il temuto killer Jack Carter torna nei luoghi della sua giovinezza, dopo molti anni di assenza, per assistere al funerale del fratello, ma del “vecchio” Carter ritroviamo ben poco. A Seattle, Jack inizia un’indagine complicata sull’incidente che ne ha causato la morte, ma è ancora più difficile per lui giustificare quegli anni di assenza alla cognata e alla nipote. È un Carter umano e capace di provare sentimenti, questo descritto dallo sceneggiatore David McKenna, nonostante la faccia sempre più pietrificata dell’icona Stallone, mentre la regia di Stephen T. Kay cerca di mascherare una certa povertà, attraverso primi piani a go-go e un montaggio quasi schizofrenico. Notevoli Mickey Rourke e Alan Cumming nei ruoli sgradevoli di “cattivi ragazzi”.
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