Regia di Adriano Tagliavia vedi scheda film
Un piccolo contributo per colei che fu sogno proibito per molti adolescenti e postadolescenti d'un tempo ormai remoto...
L'enorme successo de "La febbre del sabato sera" (1977), manco a farlo apposta, generò nello sgangherato sottobosco dell'italico cinema minore una congerie di pellicole di infimo livello che ebbero il demerito di mettere la parola fine alla carriera dei loro protagonisti. Dopo aver sprofondato ulteriormente nell'oblio cloni poveri di John Travolta nonchè sconosciuti ballerini da fiera paesana, questo film preclude all'oggi compianta Guapa di "Discoring" Gloria Piedimonte ogni velleità d'affermazione e di definitiva consacrazione nel dorato mondo dello spettacolo.
In questo desolante e poverissimo sottoprodotto a metà fra il travoltistico, il tardo musicarello e la "commedia che non fa ridere", la nostra riveste il ruolo di Gloria, una materassaia impiegata alla "Permaflex" di Frosinone (nei cui capannoni, oggi in disuso, sono ambientati fra l'altro alcuni interni) con la passione per la discodance, all'epoca assai in voga. Ospite di una zia che non la rispetta e che non comprende il mondo dei giovani, corteggiata dallo sfigato collega Pippo Papa (sic!), la nostra trova l'amore nella persona del fascinoso Bruno, conosciuto in discoteca, di cui però ignora lo status di coniugato. Delusa e amareggiata, licenziata dalla fabbrica per aver rifiutato le avances del capo del personale, colpevole fra l'altro di aver scodellato sul piatto del giradischi un gruppo ultrasconosciuto spacciato per i "Rolling Stones" (sic!), verrà salvata dal suicidio da un ballerino hippie e perdigiorno che la trascinerà con sè nella capitale. Dopo aver ricevuto proposte da improbabili e squallidi gestori di locali malcelanti l'unico obiettivo di portarla a letto, incontrerà un impresario teatrale che le spalancherà le porte dell'agognato successo.
Un plot risaputo e trattato millanta altre volte mal sorretto da una Piedimonte che a parte sinuose movenze e sorrisi a trentadue denti non sembra avere avuto molte altre frecce al proprio limitato arco attoriale. Unica nota positiva lo straniante finale girato al Teatro Parioli, in cui la nostra, dopo essere stata canzonata dal pubblico presente in sala in una citazione, credo involontaria, da "The Matinee Idol" (1928) di Frank Capra, inveisce contro il pubblico stesso piangendo con il trucco ormai disfatto, in guisa di un triste Pierrot che quasi anticipa un'altrettanto triste e subitaneo declino.
Alla preclara incapacità della Piedimonte si unisce un contorno di caratteristi di seconda fascia, tutti di buon mestiere ancorchè male utilizzati dall'insipiente regia del montatore Adriano Tagliavia, qui alla sua opera prima celatosi dietro l'improbabile "nom de plùme" di Al Midweg: si va da uno scialbo Giancarlo Prete, prematuramente scomparso, nel ruolo di Bruno, all'indimenticato Enzo Avallone (A. Vallone nei titoli di testa!!), nella parte dello stralunato ballerino. L'indimenticato "Trucciolo" della coeva edizione di "Fantastico", con il suo atteggiamento iconoclasta di uno star system al quale sembra non appartenere fino in fondo, vela i suoi sguardi con una rassegnazione quasi presaga di quel male incurabile (la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita) che ce lo porterà via di lì a qualche anno. Una vestitissima Erna Schurer (al secolo Emma Costantino), qui in fin di carriera, nel rivestire svogliatamente i panni della zia della Piedimonte, trova l'amore nel maturo charmant Enzo Fisichella, presenza abituale della nostrana Serie Z del periodo, totalmente silente per tutta la durata del film e presentatoci con tanto di pipa. Il compianto Vincenzo Crocitti nelle vesti dello spasimante sfigato della Piedimonte, si spreca rovinandosi in gags pietose nonchè in un duetto altrettanto pietoso con il cabarettista genovese Mauro Vestri, già Conte Guidubaldo Maria Riccardelli nel "Secondo Tragico Fantozzi".
A riempimento del copione deficitario a firma di Gustavo Palazio, penalizzato altresì da attrici che rinunciano a esibir le proprie grazie pretendendo sciaguratamente di affermare inesistenti capacità attoriali, il Tagliavia, assai mediocre come regista, si affida a interminabili balli in discoteca, malamente illuminati da luci stroboscopiche e filtri "cross-screen".
Glissando su personaggi mal costruiti, dialoghi inutili e freddure agghiaccianti (gli annunci all'altoparlante della fabbrica di materassi sono qualcosa di impareggiabile! ...ascoltare per credere!!), il film si ricorda piuttosto per l'ambientazione nebbiosa e pauperistica della provincia nostrana, con le sue balere e i suoi vecchi dancing riattati a discoteche con le pubblicità dell'acqua "Pejo" o del "Fernet Branca".
Gradevole la colonna sonora originale a firma di Gianni Boncompagni, mentore e scopritore della Piedimonte, e del suo sodale Paolo Ormi, arricchita da intermezzi musicali affidati a gruppi ormai dimenticati come i danzerecci "Milk and Coffee", i neomelodici "Collage", la cantante di colore "Celeste", futura stellina dei Festivalbar per la scuderia di Claudio Cecchetto e altri gruppi poco noti i cui nomi nulla ci dicevano ieri e altrettanto nulla ci dicono oggi.
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