Regia di Andrea Di Stefano vedi scheda film
Se non ci sono poliziotti al cinema non mi diverto, soleva scrivere il buon Claudio G.Fava. E come dargli torto dopo aver visto “L’ultima notte di Amore”. Un poliziesco che parte lineare come lo è stata la carriera dell’assistente di polizia Franco Amore. Un uomo semplice che non ha mai sparato un colpo in 35 anni di carriera. Viviana, una seconda moglie giovane che lo ama, con dei parenti scomodi come l’ingombrante cugino Cosimo Forcella, un calabrese a Milano in odor di ‘ndrangheta. Ogni tanto Franco gli fa qualche favore, come quello di salvare un vecchio cinese da un infarto in circostanze poco limpide. Il cinese lo elegge suo eroe speciale (il pesce carpa) e come ricompensa gli offre di fare da security nel trasporto di preziosi dall’aeroporto alla città meneghina. Un lavoretto tranquillo, ben remunerato e onesto, come chiede Amore. Dei dettagli se ne occupa il genero dell’uomo ancora convalescente, anticipando i tempi della prima missione. Franco porta con sé il collega e amico Dino, come lui bisognoso di arrotondare lo stipendio. La prima consegna avviene l’ultima notte di servizio di Amore, mentre Viviana prepara la festa di pensionamento.
Il film racconta un punto di vista fino alla telefonata del commissario Sarno, Franco lascia subito la festa per recarsi nella galleria della tangenziale. Da questo momento si cambia marcia, la tensione sale, la situazione si incendia. Franco è uno sbirro eroico, uno psico rigido per dirla alla Cosimo, rispettoso dell’etica professionale della polizia di Stato. E’ stato scelto per la missione perché debole, perché non reagisce, non spara, rivelerà sempre Forcella. Franco è l’ultimo dei romantici, ma non è uno stupido. Intuisce dopo u casinu che qualcosa non torna, dopo lo shock per aver visto morire tra le sue braccia l’amico Dino (uno spettacolo tecnico e recitativo), rimette le cose a posto con raziocinio e Viviana. E’ lei che viene in soccorso di Franco prima e dopo gli eventi. Il legame forte tra loro è la risposta allo smarrimento, alla catastrofe dell’ultima notte: una figlia di primo letto che deve terminare gli studi, il figlio di Dino, una pensione da non perdere (le ragioni familiste). O forse sono state le conseguenze in cauda venenum di parenti serpenti.
Andrea Di Stefano scrive e dirige un robusto noir into il terzo millennio di una metropoli europea a maggioranza cinese e calabrese (dalle lingue incomprensibili come i dialoghi della prima parte in cui fanno capolino Cosimo e i cinesi appunto). Lo stile è tutto, e Di Stefano dimostra di averne padronanza in ogni aspetto. Potenti le musiche e il montaggio, la fotografia e lo script. Tutto è finalizzato ad inchiodare lo spettatore, a tenere il fiato sospeso, da rivedere in loop la scena zenit della scorta ai due, le morti e l’ultimo atto di una carriera all’ombra del Duomo. Stile americano e finale italiano si compensano. Di Stefano, come il personaggio di Amore, resta coerente con una morale ligia al dovere e al compromesso tra bene e male, tra famiglia e corruzione, ‘Ndrine e Cina vicina. Non c’è più l’alcol a rendere dannati i vilain ma poche bionde e montature pesanti, immancabili pistole e cellulari.
Se Pierfrancesco Favino ritorna agli accenti e alle sfumature vincenti, Antonio Gerardi è un Joe Pesci di Corsico, Lidia Caridi iperrealista e Francesco Di Leva piezz’ ‘e còre predestinato.
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