Regia di Andrea Di Stefano vedi scheda film
Terza pellicola di Andrea Di Stefano, attore e regista italiano alla prima regia italiana dopo pellicole internazionali come Escobar (con Benicio Del Toro e Josh Hutcherson) e The Informer (con Joel Kinnaman, Clive Owen e Rosamund Pike), che ha debuttato nelle sale italiane lo scorso 9 Marzo dopo la presentazione in anteprima alla Berlinale Special Gala del Festival di Berlino, con L’Ultima notte di Amore confeziona un film dalla notevole qualità, un eccellente noir d’altri tempi o un polar in cui si fonde con il poliziesco, sulle orme di Jean-Pierre Melville o di Jacques Becker, e che coniuga le regole hollywoodiano del genere alla contemporaneità italiana regalandoci un thriller dal ritmo incalzante e dalla tensione costante, questo grazie alla regia e alla fotografia e a interpretazioni impeccabili.
Girato interamente in pellicola e con richiami espliciti ai polizieschi italiani anni’70, a partire proprio da Milano Calibro 9, celebre pellicola del ‘72 di Fernando Di Leo, ma con i piedi ben piantati in un presente in cui la globalizzazione ha conseguenze anche nel crimine organizzato, sullo sfondo di una Milano oscura e crepuscolare dove la luce salvifica del giorno appare sempre più come un miraggio (quasi) irraggiungibile, e che, nonostante la sua esplicita italianità mostra al contrario chiare ambizioni internazionali seguendo quindi l’esempio de Il mio nome è vendetta, film Neflix con Alessandro Gassmann e diretto da Cosimo Gomez che (a sorpresa) si è trasformato in un “vero” e proprio successo internazionale.
Seguendo lo schema del noir con una divisione classica in tre atti, L’ultima notte di Amore riesce a mantenere sempre costante la tensione nonostante buona parte del film si svolga all’interno del tunnel, luogo di transito nel quale il protagonista rimane incastrato e intrappolato nell’impossibilità di trovare una via di fuga da una situazione disperata, o “metaforicamente” di vedere finalmente una luce in fondo al tunnel (anche perché la notte non è ancora passata), e lo fa attingendo direttamente alla tradizione gloriosa (!) del “poliziottesco” all’italiana ma virato in un “polar” alla francese teso e angosciante, ennesima prova che per tornare davvero grandi il cinema italiano deve tornare (soprattutto?) al cinema di genere (alla faccia di certi intellettualoidi della domenica che delegittimano qualsiasi cosa non sia, secondo loro, d’autore), campo di cui un tempo eravamo maestri.
Un cinema da difendere e da valorizzare e non, come è stato fatto per troppo tempo, di cui vergognarci (o quasi).
Merito poi di una regia precisa e accurata sempre al servizio della storia (e dei personaggi), sia attraverso tecnicismi (da antologia il piano sequenza iniziale) che sfruttando adeguatamente la suggestiva location della metropoli meneghina, mentre e d’obbligo una menzione particolare alla colonna sonora di Santi Pulvirenti (già autore per Di Stefano delle musiche del serial Bang bang Baby) che, sempre incalzante e coerente con la narrativa della pellicola, ha ricordato quelle dei (migliori) film di Dario Argento.
Il film trova inoltre forza e legittimazione anche dalle ottime interpretazioni di tutto il cast, a partire (ovviamente) dall’intenso Pierfrancesco Favino che da ulteriore sfoggio della sua poliedricità dando tridimensionalità a un personaggio complesso e sfaccettato, fedele ai suoi principi ma attratto, nonostante ne conosca i pericoli, da una più remunerativa (e ambigua) nuova attività lavorativa e dalla sorprendente Linda Caridi costantemente in bilico fra il ruolo di fedele compagna del protagonista, appassionata donna calabrese trapiantata a Milano tentata dalla scalata sociale, ma anche complice e sua unica ancora di salvezza quando si ritrova in balie degli eventi mentre risaltano anche Antonio Gerardi (già visto in Bang Bang Baby, serie Amazon Prime creata proprio da Di Stefano), Francesco Leva, Camilla Semino Favro, Wang Fei, Shi Yang Shi, Katia Mironova, Xu Ruichi e Pang Bo.
VOTO: 8
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