Regia di Andrea Di Stefano vedi scheda film
AL CINEMA/ BERLINALE SPECIAL GALA
La sera che precede l'ultimo giorno di servizio dopo trentacinque anni di lavoro in polizia, il mite Franco Amore rientra a casa da una corsetta lungo il quartiere.
Apre la porta di casa per scoprire che lo accoglie la bella moglie Viviana in presenza di tanti amici che gli hanno organizzato una festa a sorpresa.
Tuttavia lo stesso spettatore non può fare a meno di notare che l'effetto sorpresa pare attutito, o sembra quasi latitare.
La commozione del festeggiato pare tradisca a tratti smarrimento cosciente, o addirittura un sentimento di panico, invero poco compatibile con una forma forte di emozione mista a nostalgia.
La panoramica meravigliosa su una Milano notturna che pare ripresa alla Michael Mann, che precede questa scena centrale e cruciale, apre lo spettatore ad una vicenda nera che prende avvio circa dieci giorni prima dell'ultimo giorno di lavoro di Amore.
Franco si lascia convincere da un losco parente calabrese della moglie, a fare da autista assieme al suo più caro amico e collega, per un trasporto speciale non ben identificato per conto di un boss cinese che stima Amore per avergli salvato la vita poco tempo prima.
Ma l'incarico, che precede di in giorno l'esodo lavorativo del poliziotto, finisce nel peggiore dei modi.
Una sparatoria a seguito di un posto di blocco dei Carabinieri, cinque individui a terra freddati dai colpi, tra cui il collega poliziotto di Amore, i due carabinieri e due cinesi con tanto di malloppo.
Unico superstite Franco Amore, ed una notte dove tutta una vita si rimette in gioco, tra indagini ufficiali, panico alle stelle, la malavita cinese che rivendica il suo malloppo, e poco tempo per pensare a come uscire da quel guaio inestricabile.
Il poliziotto superstite, noto per il suo carattere calmo ("Tranquilli, Amore è uno che non spara!"), si trova incalzato e sopraffatto a giocare d'astuzia la sua partita più pericolosa e cruciale.
Per fare ciò dovrà anche tenere a freno le iniziative impulsive di una moglie che si rivela un epicentro di iperattività inaspettato.
Che filmone questo nuovo progetto di Andrea Di Stefano! Ora a tutti gli effetti per l'attore romano, da una decina d'anni passato con successo a progetti di regia di respiro internazionale (ha diretto validamente Escobar e Theo Informer) è tempo di venir considerato a tutti gli effetti e prima di tutto un regista maturo e di talento.
Con questo teso e concitato L'ultima notte di Amore, Di Stefano riporta dignità e lustro ad un genere come il poliziottesco, che assieme allo spaghetti western ha saputo dare un tocco di internazionalizzazione al cinema italiano tra i '70 e tutti gli '80.
In più, a differenza della maggior parte dei poliziotteschi più apprezzati e adrenalinici, spesso con Luc Merenda e Maurizio Merli protagonisti, coinvolti in opere dirette bene da artigiani abilissimi come Sergio Martino, Umberto Lenzi, Stelvio Massi e tanti altri, il film di Di Stefano, oltre ad essere girato con grande perizia, è pure sceneggiato egregiamente, dando modo a molto dei protagonisti di definire tratti caratteriali davvero notevoli e sfaccettati.
Siamo dalle parti del miglior poliziottesco di sempre, che non può non ricondursi alla cosiddetta "trilogia del milieu" di Fernando Di Leo, responsabile degli splendidi Milano Calibro 9, La mala ordina (entrambi del 1972) e Il boss (1973).
Cast di ottimo livello, entro cui spicca naturalmente un ispirato e perfetto Pierfrancesco Favino, accanto a cui gravitano come pianeti impazziti in una rotta tutta indefinibile la moglie Viviana resa da Linda Caridi e il suo losco parente efficacemente reso da Antonio Gerardi.
La Caridi, in particolare, con quel suo accento calabrese quasi incomprensibile, si fa carico di dare corpo e intimità ad un personaggio ambiguo che riesce a malapena a districarsi tra le ambizioni di far sua una refurtiva troppo cosa per essere lasciata in un acquistino o restituita ai boss cinesi, e obbedire alle direttive del suo disperato compagno alla strenua ricerca di riuscire ad uscire indenne da quella morsa in cui si è fatto incastrare proprio al termine di una tranquilla carriera di sola routine.
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