Regia di Bradley Cooper vedi scheda film
“Maestro”, secondo film diretto ed interpretato da Bradley Cooper, ci parla del grande musicista Leonard Bernstein e si sofferma sulla complessità di quest’uomo che ha colto e ha abbracciato la complessità dell’amore e dell’arte. Cooper cerca di andare oltre il mero biopic, e il suo melodramma racconta molto più di quanto le immagini non dicano.
«Un'opera d'arte non risponde alle domande, le suscita;
e il suo sostanziale significato si trova
nelle risposte contraddittorie» (L. Bernstein)
Il secondo film diretto da Bradley Cooper dopo “A star is born” (2018), è una prova per certi versi ancora più convincente e matura della precedente. Da una star che nasce, si passa ora a una che è destinata all’immortalità; e ancora al piacevole abbinamento di tanto cinema, musica, e frammenti di vita.
L’opera in questione tratta in modo semplice ed appassionato, lineare ed efficace la fluente ma anche dolente biografia di Leonard Bernstein, uno dei più grandi talenti musicali del XX secolo, ottimo compositore, eccezionale divulgatore e soprattutto raffinato direttore d’orchestra; autore delle colonne sonore originali di “West Side Story” e “Fronte del Porto”, nonché di moltissime composizioni per orchestra e arrangiamenti per teatro, complessi cameristici e pianoforti; viene considerato il secondo direttore d'orchestra migliore di tutti i tempi dietro a Carlos Kleiber.
“Maestro”, come si diceva, sensibilmente diretto e magistralmente interpretato da un mimetico Bradley Cooper e da lui scritto insieme a Josh Singer (già vincitore dell’Oscar per la sceneggiatura di “Spotlight”), lascia sullo sfondo quasi tutta la produzione musicale del protagonista (si accenna solo brevemente a “West Side Story”) per privilegiare la dimensione intima della storia sentimentale tra Leonard e sua moglie Felicia Montealegre – attrice conosciuta da Bernstein durante una festa nel 1946 – ed interpretata superlativamente nel film da Carey Mulligan (“Una donna promettente”), ma anche i legami che hanno caratterizzato tutta la vita di Bernstein e che l’hanno reso uno dei direttori d’orchestra più celebrati.
L’aspetto maggiormente interessante di questa pellicola risiede però nella scelta di aver voluto mettere nella giusta evidenza l’intima natura, contraddittoria e lacerata, di Bernstein, ma soprattutto in risalto l’amore forte, duraturo e sincero che ha saputo resistere nel tempo al dolore e ai conflitti, ai tormenti psicologici e all’omosessualità vissuta dallo stesso protagonista.
L’APPROCCIO AL CONTENUTO BIOGRAFICO E L’IMPOSTAZIONE FILMICA
«Dopo un anno di ricerche su Lenny e sulla sua famiglia, e dopo aver preso del tempo per rielaborare il tutto, ho capito che l’aspetto che più mi colpiva era il matrimonio tra Lenny e Felicia. E? stato un amore vero, non convenzionale, che ho trovato infinitamente affascinante: ecco la storia che volevo raccontare. Saro? sempre grato a Jamie, Nina e Alex per avermi fatto entrare nella loro famiglia e nei loro cuori: e? stata una delle gioie più grandi della mia carriera». Con queste sue parole il regista di “Maestro” ci definisce il tipo d’approccio alla materia biografica, l’impostazione filmica prescelta, e ci coinvolge direttamente e in modo quasi poetico nella vita privata di Bernstein mettendo subito in chiaro le motivazioni del perché nella pellicola non vedremo, se non in poche scene, il suo lavoro come direttore d’orchestra e compositore.
Non si tratta di un interesse minore nei riguardi di questi ultimi aspetti, artistici e di vita pubblica, bensì di una scelta registica, personale, ragionata e in ogni caso discutibile, che ha tra le sue funzioni pure quella di portar a far comprendere più o meno direttamente l’uomo dietro l’artista, meglio la sua vera anima, e, dunque, di conseguenza rimandare lo spettatore anche all’origine dell’arte e del lavoro del protagonista.
Da quest’ultimo punto di vista, la regia di Cooper scruta con semplicità e sensibilità negli sguardi, nei gesti, nelle emozioni e nelle sensazioni provate dalla coppia; andando alla ricerca accurata di dettagli che lasciano trasparire i loro stati d’animo e i mutamenti avvenuti col passare del tempo. Quelli più fondamentali ed essenziali. La macchina da presa immortala la sintonia di questo loro legame duraturo, ne diventa il testimone ma anche lo specchio dove si riflettono gli interrogativi sul peso del talento e sui limiti dell’amore incondizionato. Persino la musica che si ascolta nella pellicola c’è per contestualizzare l’essenza umana sottostante alla figura pubblica, e non il contrario.
E assieme alla colonna sonora anche la tecnica fotografica di elevata fattura e le interpretazioni superlative.
Lo stile e la forma accurate cercano di andare sempre a braccetto con il cuore e l’armonia, quella soprattutto visiva, musicale, ed emozionale.
“Maestro”, progetto dalla pluriennale realizzazione, ereditato da Scorsese e Spielberg (rimasti come produttori), appoggiato dai parenti del protagonista, e presentato in concorso al festival cinematografico di Venezia 2023, appare come un film classico innamorato dei suoi personaggi; e dove ogni cosa è equilibrata, dosata e con una sua particolare funzione – vedi ad esempio la fotografia di Matthew Libatique, che passa dal bianco e nero ai colori saturi di un cinema d'altri tempi, quasi della memoria.
L’opera di Cooper, in sé maestosa, sontuosa e al tempo stesso asciutta e molto intimistica, evita le trappole del genere, si tiene lontana da certi cliché e spiegazioni da documentari, e rifugge manierismi e sensazionalismi.
Il suo film esplora con il massimo rispetto e riverenza alla rappresentazione del mondo di Bernstein, i temi dell’amore, della perdita e dell’eredità artistica; vuole approfondire ciò che non viene descritto nelle biografie documentate; vuole coinvolgere con l’essenziale narrato ed emozionare con poesia, bellezza estetica ed eleganza di tono e messinscena (vedi a tal proposito le carrellate lente, i piano-sequenza raffinati, le chiare e precise scelte stilistiche o alcune scene efficacemente costruite – tra queste vorrei citare almeno il piano-sequenza di circa sei minuti nel quale Bernstein dirige il finale della Seconda Sinfonia di Mahler; una scena girata fedelmente nella vera Cattedrale di Ely con la London Symphony Orchestra, coro dal vivo e un pubblico di comparse).
Cooper ha dedicato quasi sei anni di studio dietro le quinte, svoltosi segretamente con veri direttori d’orchestra, tra cui Gustavo Dudamel, per comprendere, cogliere e tentare di riproporre la complessità della figura umana del geniale compositore.
In sintesi, ha voluto (e in larga parte è riuscito a) trasmettere allo spettatore l’autentico spirito che ora innamorato, ora appassionato, ora inquieto, guidava il protagonista, tra relazioni affettive, concerti e composizioni. Uno spirito che combatteva una lotta interiore per riuscire a bilanciare verità opposte e contraddittorie su se stesso, e a sentirsi finalmente “libero”.
L’amore tra Leonard e Felicia è stato duraturo, sincero e ricambiato ma non sempre lieto. La loro relazione è stata influenzata dal ruolo assunto dalla musica, e dalla sessualità di lui (era anche omosessuale); aspetti vissuti senza egoismo e nell’intento di farli ben convivere assieme. Tutto ciò, le diverse pieghe dell’esistenza di Bernstein, le sfumature della sua caotica personalità, ma anche i continui passaggi tra vita e arte (per lui la musica, per lei la recitazione), arriva diritto al cuore dello spettatore mediante una scrittura cinematografica che assomiglia all’andamento di una sinfonia.
Parimenti al suo protagonista, anche Cooper va oltre il mero biopic, scavalca la cronologia dei fatti, pone lo sguardo sull'umanità e su quanto il dualismo tra vita privata e vita lavorativa non sia mai fine a se stesso, ma sempre affrontato, sintetizzato e ancorato più dalla parte del cuore che da quello della ragione.
IL VALORE ATTRIBUITO AD UNA DEFINITA AMBIGUITA’
Questo importante valore che si va ad attribuire all’ambiguità, che lo stesso Bernstein ha assegnato, riferendosi alla propria personalità ma anche al concetto di Arte in generale (e nella sua ottica funzionale), è riproposto ed esaltato in tutto il film di Cooper.
Ogni opera d'arte, degna di questo nome, non deve essere compresa, bensì contemplata, ammirata, meditata, interiorizzata. L’utente deve essere rapito da ciò che sta guardando o ascoltando. In queste creazioni ognuno dovrà e potrà trovarci l'emozione o il significato che desidera, che sente, o di cui necessita. E’ nelle svariate interpretazioni, spesso anche contrastanti, di una medesima opera che il più delle volte si nascondono le sue espressioni di senso e il suo valore più essenziale. E la pellicola di Bradley Cooper evidenzia e fa risaltare questo assunto nobilitando l'ambiguità totalizzante del suo protagonista, un insieme caotico di modi e visioni di vita differenti, di scissioni e divisioni (ad esempio fra Mahler e il pop, il Musical e la tv, la popolarità e la solitaria ricerca artistica), ma anche di molte cose allo stesso tempo (Bernstein fin da giovane dichiara di non sapere e non volere scegliere, di avere il cuore pieno d’amore per tutti e per tantissime cose diverse tra loro).
Il celebre compositore è consapevole di questa sua autodefinita "schizofrenia", l’accetta totalmente e senza riserve, se ne vanta e si lascia trasportare dall’esigenza di non poter essere una “cosa” soltanto.
Esaltando quel tipo di contraddittorietà umana che caratterizza la sua persona e la sua esistenza, arriverà persino ad “incarnarsi” nella musica stessa, vivendola a fondo. E’ stato lo stesso Bernstein a dichiararlo: «Tutto ciò che ha a che fare con la musica è il mio campo, che si tratti di comporla, dirigerla, insegnarla, studiarla, suonarla. Finché è musica, la amo e la pratico», rifiutando i consigli di chi lo esorta ad essere quello che vogliono gli altri, di non sprecare il suo talento tra musical e teatro, bensì di dedicarsi esclusivamente alla composizione orchestrale. Di non “essere tante cose”, quanto invece una soltanto.
Ma questo “essere tante cose” è più un limite per il prossimo, e non per il protagonista stesso, che non si aspetta risposte facili e univoche, e che non si prefigge un fine unico nella e per la propria esistenza.
Egli diventa così l’emblematica rappresentazione di chi è allo stesso tempo sia artista, sia opera d'arte, sia l’autore, sia l’oggetto della propria creazione.
Questa interpretazione la si può estendere dall’ambito musicale alla Settima Arte, all’arte cinematografica e a coloro che amano e praticano quest’ultima. Nel rispetto di quell'ambiguità che è quintessenza dell'arte e accogliendo gli aspetti contraddittori che vi dimorano, anche il Cinema può e deve far tesoro delle proprie dicotomie (film commerciale o d’autore, d’intrattenimento o artistico) e nobilitare questa sua totalità nell’autenticità o nell’intensità espressiva, nonché in un grado di qualità più o meno elevata che si sarà capaci di infondere e trasmettere.
IL LEGAME INTERDIPENDENTE TRA BERNSTEIN E FELICIA
Cinema, Musica, e Bernstein, quindi sono lì a (di)mostrarci come molteplici aspetti divergenti e contrastanti tra loro non possono sopravvivere gli uni senza gli altri.
Ripartendo da qui e ragionando su questa complessità, cosa è stato veramente Leonard Bernstein?
Leonard Bernstein (Louis Bernstein all'anagrafe), è stato un direttore d'orchestra, pianista e compositore nato a Lawrence nel 1918 e morto a New York nel 1990.
Artista di fama internazionale, è stato direttore dell'Orchestra filarmonica d'Israele e direttore musicale della New York Philharmonic, presidente e direttore onorario dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, una delle istituzioni musicali più importanti e antiche di tutto il mondo.
Nel 1951 fu membro dell'American Academy of Arts and Sciences.
Ha ricevuto in carriera moltissimi riconoscimenti onorari e premi (soprattutto tanti Emmy e Grammy Awards) e la sua musica (candidata agli Oscar) per il film “Fronte del porto” è stata scelta come ventiduesima più grande colonna sonora della Storia del Cinema dall'American Film Institute nel 2005.
Dopo un turbolento fidanzamento, Leonard Bernstein sposò l'attrice Felicia Cohn Montealegre il 10 settembre del 1951. La coppia ebbe due figlie e un figlio: Jamie, Alexander e Nina.
Nel 1976 Bernstein decise di non tenere più nascosto al mondo la propria omosessualità, lasciò la moglie e iniziò a convivere con il direttore d'orchestra Tom Cothran. Quando alla moglie fu diagnosticato un tumore ai polmoni in fase terminale Bernstein tornò da lei e se ne occupò fino alla morte, avvenuta nel 1978.
Nel film di Cooper il protagonista viene descritto come un uomo istrionico, fuori dagli schemi, geniale, energico, pieno di gioia di vivere e di amore per la gente; ma dall’altra parte anche egocentrico, narciso, depresso, nonché diviso nel suo lavoro tra la natura di direttore e quella di compositore (o tra quella di esecutore e quella di artista), e nei suoi rapporti sentimentali fra un’omosessualità vissuta con serenità e l’amore sincero per la moglie Felicia. Un uomo che probabilmente non avrebbe avuto gli stessi successi se non avesse avuto affianco a sé la forza della sua donna, quella moglie che si è rivelata ombra del maestro, ma al tempo stesso anche la vera artista dietro l'opera d'arte Bernstein.
Dunque, al di là della sua carriera d’attrice e dalla sua vita privata, cosa è stata veramente Felicia Cohn Montealegre nei riguardi di Leonard Bernstein? «Non fosse per lei sembrerei un clown», sottolineò in vita quest’ultimo riferendosi alla premurosa, affettuosa cura e al profondo sostegno donatogli dalla moglie. Felicia, soprattutto nella seconda parte del film, diventa come una protagonista, mettendo in secondo piano la figura di Bernstein. La donna è stata moglie ma anche come una madre per Leonard, ha sacrificato molto di sé e della sua carriera per lui, sostenendolo in scelte ed obiettivi. L’amore istintivo e materno di Felicia si è rivelato nel tempo pura dedizione e fonte di grande ispirazione per Leonard. Compagna di vita su cui poter fare affidamento, per il bene della propria famiglia, Felicia non soltanto era arrivata a sopportare le difficoltà coniugali, e i tradimenti e i segreti del marito, ma persino a proteggerlo da tutto e da tutti.
Esattamente come farebbe una madre col proprio bambino, e un artista con la propria opera d’arte.
Un amore ripagato con la stessa sincerità e intensità anche da Leonard durante il periodo in cui Felicia lotterà contro il suo tumore terminale: Leonard le resterà vicino ridonandole in abbondanza tutte le premure e il supporto necessari che lui stesso ricevette dalla consorte anni prima.
Questi contrasti tra le gioie dell’amore nell’età giovanile della coppia e le sofferenze della parte finale delle loro esistenze, è ben evidenziato nell’opera non soltanto dall’ottima e convincente performance attoriale di Cooper e Mulligan, ma anche nella “forma” a livello artistico/stilistico per mezzo dal sapiente ed efficace utilizzo cromatico e delle luci. La fotografia esalta atmosfere, stati d’animo, emozioni e pensieri, ma anche le due parti nei quali è diviso il film: la prima, tutta in bianco e nero, per ricordare il periodo più giovanile e florido del protagonista e del suo appassionato rapporto d’amore con Felicia (girata come un Musical, con i personaggi sempre in movimento e la Steadicam intenta a seguirli); e la seconda, dagli anni Sessanta in poi, quando il film passa al colore (e lo stile si fa più compassato: camera fissa, pochissimi movimenti, i dialoghi tra Leonard e Felicia ripresi a distanza, in campo lungo o con una focale larga) per rappresentare gli anni della maturità di entrambi i protagonisti e quei toni più amari e drammatici che li hanno caratterizzati; ma anche tutto il dolore che i protagonisti hanno vissuto, le sofferenze dei cuori e dei corpi (su tutto, il tumore di Felicia che ha consumato fino alla morte lei e di riflesso nell’anima anche Leonard).
Ed è qui che il flashback finisce, e il racconto della storia della versione anziana del protagonista si perde nella piattezza e nel vuoto.
In virtù di questi aspetti, il film si può definire uno stratificato, struggente e sofferto melodramma sulle modalità di tenuta duratura di una relazione d’amore, soprattutto quando quest’ultima non è propriamente convenzionale e necessita di tutto ciò che è utile a mantenerla salda e stabile, fino ai limiti delle umane possibilità. Questo tipo di complessità tematica forse (complice l’onesta e placida rappresentazione adottata dal film, priva di scene madri o di momenti memorabili) può non essere colta pienamente nella sua interezza, però in filigrana si potrà leggere molto di più di quel che viene mostrato, detto o suggerito dal film, soprattutto verso il finale quando è trasmessa una percezione di maggiore consapevolezza della realtà.
IL SENSO GENERALE DEL FILM – CONSIDERAZIONI FINALI
E in tal senso, il merito maggiore dell’efficacia del registro melodrammatico è dato dalla qualità dell’ottima interpretazione dei due attori protagonisti.
Carey Mulligan, quasi ruba la scena a Cooper, per quanto sembra naturale e credibile nel ruolo.
Le è sufficiente uno sguardo o una risata, per comunicare una variegata gamma di stati d’animo, sentimenti, pensieri e sensazioni. Il suo giocare tutto in sottrazione è davvero funzionale e regala autentiche emozioni allo spettatore.
Bradley Cooper invece è camaleontico e meticoloso nel riprodurre fedelmente i movimenti di Bernstein, i suoi gesti, i suoi sguardi, la sua voce. Con un’attenzione estrema verso ogni dettaglio, riesce benissimo a cogliere e restituire le mille sfumature del protagonista, e la complessità di quest’uomo desideroso di vivere i tanti volti della sua personalità e dell’esistenza.
Per dovere di cronaca c’è da dire che per alcuni critici, ma non per chi scrive, la cura troppo meticolosa di Cooper associata anche al tanto discusso trucco prostetico del naso (pronunciato come quello del vero Bernstein, ma qui forse un po’ troppo invasivo per il volto dell’attore), si sono rivelati controproducenti finendo per raffreddare la portata emozionale, la verosimiglianza e la naturalezza del personaggio.
Inoltre, ad apparire quasi artefatta e forzata, e dunque poco incisiva, non soltanto è stata la performance di Cooper ma anche l’intera opera. Giudizi critici negativi hanno evidenziato diversi aspetti poco riusciti del film, a partire da alcune presunte e discutibili scelte stilistiche o tecniche (ad esempio nella struttura, nel montaggio, nel ritmo) e concludere con la sensazione di incompletezza del ritratto fatto a Bernstein.
A Cooper gli si è “rimproverato” di non aver esplicato e approfondito il fondamentale, imprescindibile legame tra l’uomo e l’artista, utile a chiarire maggiormente la personalità della celebre figura omaggiata, sacrificandone a torto professione e carriera artistica.
Tralasciare quest’aspetto ritenuto stretto ed essenziale ha creato una grossa lacuna nozionistica e biografica che ha tolto incisività e profondità alla resa totale del protagonista e alla pellicola stessa.
In effetti, del lavoro di Bernstein come direttore, e soprattutto come compositore, si vede ben poco, così come vengono troppo tralasciate altre sue importanti vicende nel privato (ad esempio il rapporto con i figli, gli amici, gli amanti) o nel pubblico (ad esempio le difficoltà in quanto uomo ebreo negli anni ’40).
Se è vero che per necessità di completezza questa assenza narrativa poteva (o doveva) essere colmata, è però altrettanto vero che al regista non interessava tanto restituire un quadro totale della figura e della vita di Bernstein, quanto soprattutto prendere a “pretesto” momenti e aspetti cruciali della sua esistenza e della sua interiorità al fine di ricreare sul grande schermo quel che più lo aveva colpito e aveva ritenuto più affascinante da mostrare rispetto alla vita e carriera del celebre compositore, e cioè il matrimonio tra Leonard e Felicia; il loro amore, non convenzionale ma autentico ed intenso.
E’ per tal motivo che si può andare a comprendere ed accettare alcune scelte stilistiche, di narrazione e di messinscena compiute, e soprattutto considerare in modo positivo il senso generale dell’intera opera.
Un’opera che invita lo spettatore a farsi trascinare dalla passione in essa profusa, a farsi coinvolgere dal melodramma che racconta e che rimanda a sua volta agli importanti trattamenti tematici da questo derivanti, e che ho tentato di argomentare nella corrente analisi del film; e, soprattutto, a lasciarsi emozionare da tutto ciò che ci viene mostrato.
Una pellicola, godibile e interessante, che commuove e fa riflettere, e alla quale si possono perdonare anche i presunti limiti o lati imperfetti e mancanti; per accettare il vero spirito alla guida del film, il senso generale, e cioè quell’esprimere il trionfo delle più autentiche ed intense ragioni del cuore innanzitutto e malgrado tutto…
Cooper è voluto andare oltre il mero biopic convenzionale; è voluto andare oltre gli sguardi, oltre i silenzi e le parole, oltre ciò che ci lega o ci divide nei nostri rapporti.
Al di là se ci sia riuscito o meno, sono comunque apprezzabili la sua intenzione e il suo tentativo di far trasparire da questo film quel qualcosa di misterioso e poetico che (si) muove (tra) le persone, nascosta o resa evidente scavando a suo modo nelle loro vicende e nelle loro anime…
CURIOSITA’:
1) Il cast di “Maestro” include tra gli altri anche Maya Hawke, figlia degli attori Uma Thurman e Ethan Hawke (“C’era una volta a…Hollywood”, “Asteroid City”), e Matt Bomer (“Non aprite quella porta: L’inizio”, “In Time”, “Magic Mike”, “Storia d'inverno”, “Magic Mike XXL”, “I magnifici 7”, “Magic Mike - The Last Dance”) nel ruolo di David Oppenheim.
2) “Maestro” è stato presentato in anteprima il 2 settembre 2023 in concorso all'80ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Originariamente doveva essere distribuito dalla Paramount Pictures fino a quando non è passato a Netflix, quindi è stato proposto in distribuzione limitata nelle sale statunitensi dal 22 novembre 2023, prima di essere reso disponibile sulla piattaforma Netflix il 20 dicembre 2023.
3) Questa è la prima collaborazione tra Bradley Cooper e Carey Mulligan, ma non è la prima volta che la coppia si incontra. Quando Mulligan ha subito un trauma cranico durante l’anteprima di Broadway del 2018 di “Girls & Boys” del drammaturgo Dennis Kelly, dopo che un pesante sipario l’ha colpita inaspettatamente, è stata accompagnata al pronto soccorso di Manhattan da Cooper che si trovava tra il pubblico del teatro.
4) Per il ruolo del protagonista, Bradley Cooper ha indossato una protesi al naso per amplificare meglio la sua somiglianza con Leonard Bernstein, una decisione che inizialmente suscitò molto scalpore presso l’ADL (associazione contro la diffamazione del popolo ebraico) che lo vide come un gesto antisemita.
Tuttavia, i figli di Bernstein, Alexander, Jamie e Nina, hanno difeso la decisione di Bradley Cooper definendo “ipocrite” le critiche dell’ADL. (Fonte: Wikipedia).
5) “Maestro” ha ottenuto vari premi e riconoscimenti. Inoltre, è rientrato tra i migliori dieci film del 2023 al National Board of Review Award. Ha ricevuto due candidature per Cooper e Mulligan agli Screen Actors Guild Award e una candidatura come miglior film dell’anno ai Producers Guild Award. Ha vinto tre premi ai Satellite Awards (i riconoscimenti assegnati dall’International Press Academy): miglior Sceneggiatura originale, miglior Fotografia, miglior Suono.
Quattro candidature ai Golden Globe (Film drammatico, Regista, Attore protagonista, Attrice protagonista). Otto nomination ai Critics’ Choice Movie Awards (Film, Regia, Attore protagonista, Attrice protagonista, Sceneggiatura originale, Montaggio, Fotografia e Trucco).
Sette candidature ai Bafta - British Academy Film Awards (Regia, Attore protagonista, Attrice protagonista, Sceneggiatura originale, Fotografia, Suono e Trucco).
Sette nomination ai Premi Oscar (Film dell’anno, Attore protagonista a Bradley Cooper, Attrice protagonista a Carey Mulligan, Sceneggiatura originale a Bradley Cooper e Josh Singer, Fotografia a Matthew Libatique, Trucco e Sonoro).
VOTO (in decimi): 7.25 / 7.50
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