Regia di Bradley Cooper vedi scheda film
Tempus fugit. Essendo la vita un contenitore che a posteriori riporta un quantitativo indefinito di ricordi che, di volta in volta, riaffiorano in ordine sparso, tra dettagli centrali e altri che vanno e vengono, particolari vividi e altri che scivolano tra le dita, farne un riassunto esaustivo diventa un’impresa, tale da richiedere/pretendere sacrifici dolorosi e orientamenti precisi. Lo è per le persone normali, figuriamoci quando si parla di personaggi che hanno lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva per cui, volendo fare una sintesi, le scelte su cosa concentrarsi, e all’opposto omettere, sono simultaneamente inevitabili e salienti.
Con Maestro, Bradley Cooper si ritrova nuovamente ad avere a che fare con il binomio composto da cinema e musica, incrementando il target e assumendosi la responsabilità di apportare un taglio netto al soggetto, per certi versi disorientante, conferendo al suo biopic un’identità intenzionale e specifica, quella di una cronaca sentimentale che assume i connotati del melodramma.
La carriera del giovane direttore d’orchestra Leonard Bernstein (Bradley Cooper - American Sniper, Il lato positivo) ha una svolta quando è chiamato all’ultimo momento a sostituire un collega alla Carnegie Hall.
Baciato dal successo, tre anni dopo incontra a una festa l’attrice Felicia Montealegre (Carey Mulligan - Una donna promettente, A proposito di Davis), con la quale la sintonia è immediata, portando la coppia al matrimonio.
Tra un trionfo e l’altro, Bernstein continua ad avere una vita privata piuttosto turbolenta, che Felicia accetta di buon grado, fino a quando altri elementi costringeranno entrambi a prendere delle decisioni senza ritorno.
In ogni caso, al di là di un periodo impervio e triste, Bernstein proseguirà con il suo famelico stile di vita fino alla fine.
Giunto alla sua seconda regia, Bradley Cooper si arma di buona volontà e di sostanziose dosi di coraggio, alzando - e non di poco - l’asticella delle ambizioni rispetto al precedente A star is born, facendo suo un progetto in prima battuta destinato a Steven Spielberg.
Parliamo di un film ingombrante e nervoso, al quale il piccolo schermo - di Netflix – va decisamente stretto, che a partire da una sceneggiatura scritta dal regista con il quotato John Singer (Il caso Spotlight, The Post) detta una linea di principio audace, traboccante ed ellittica.
Dunque, Maestro è un film volubile, che ai successi artistici (solo uno viene riprodotto, va detto con un trasporto invidiabile) preferisce il frangente privato, che presidia e rovista diffusamente, comunque sia perseguendo un moto oscillatorio che da una parte regala scorci esemplari, dall’altra va (troppo?) di fretta, scappa portando via da sotto il naso le sue portate quando sono ancora calde e non completamente degustate/digerite, scaraventando lo spettatore in un successivo scenario.
Similmente, è cinematograficamente ricco, per formati variabili e definizioni puntuali, con una fotografia polifonica impressa da Matthew Libatique (Il cigno nero, Madre!), che si può letteralmente sbizzarrire, un montaggio impegnativo (di Michelle Tesoro – La regina degli scacchi, When they see us) e il trucco sensazionale di Kazu Hiro (L’ora più buia, Come un tuono).
Dettami artistici di livello assoluto che amplificano una complessiva sensazione di mal di mare, con un battito cardiaco che non si dà pace, corde emotive sollecitate a ripetizione e convivenze – in tutti i sensi - problematiche.
A prescindere da tutte queste disquisizioni, è molto difficile obiettare sulle interpretazioni. Se in buona sostanza Maestro concentra le sue attenzioni sul duo protagonista, lasciando agli altri le briciole (nei pochi minuti di cui dispongono, Maya Hawke – Stranger things, Nessuno di speciale e Sarah Silverman – School of rock, Masters of sex trasmettono buone sensazioni), la risposta dei frontrunner è considerevole. Bradley Cooper conferma di essere completamente rapito dal personaggio e sfodera una variegata gamma di istrionismi, mentre Carey Mulligan va anche oltre, manifestando una spiccata sensibilità, radiosa e tormentata, tartassata e affamata, con un’interpretazione che ruba l’anima e lascia il segno più significativo di tutto il film (anche su questo, forse, ci sarebbe da riflettere).
Tirando le somme, Maestro non è il solito biopic confezionato in modo scolastico e che si adagia sugli allori, ma finisce anche per non saziare appieno, pieno com’è di frammenti attrattivi e spike rapidamente riassorbiti. Contraddistinto da una presa di posizione netta, che preferisce (in)seguire le contraddizioni di un rapporto sentimentale alle eccezionalità di un talento irraggiungibile, ha la miccia corta e oscilla senza sosta compiendo autentici salti mortali, tra stati d’animo contrapposti e congiunzioni astrali, spasmi e stigmate, tradimenti e malattie, affanni e sintonie, delicatezze ed escoriazioni, distanze variabili e punti d’incontro.
Spiazzante e vibrante, conflittuale e funambolico.
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