Regia di David O. Russell vedi scheda film
La vera amicizia che supera barriere di spazio, tempo e ideologie…
Basata su una vicenda realmente accaduta nel 1933, il Business Plot, ossia quando vi fu un tentativo di colpo di stato ad opera di un gruppo di uomini d’affari che provarono a creare un’alleanza tra Stati Uniti e Germania nazista, “Amsterdam” è l’ultima pellicola scritta e diretta dal cinque volte candidato al premio Oscar David O. Russell (tre nomination come regista per “The Fighter”, “Il lato positivo - Silver Linings Playbook” e “American Hustle - L'apparenza inganna”, e due come sceneggiatore per “Il lato positivo” e “American Hustle”), e, come in ogni suo film tipicamente corale, offe allo spettatore un numeroso cast stellare finalizzato a richiamare il vasto pubblico in sala, e il suo stile forsennato e caotico ormai riconoscibile.
L’opera arriva a sette anni dal suo ultimo lavoro, il biopic “Joy” con protagonista Jennifer Lawrence, e anche stavolta poggia su una bella storia d'amicizia che sa superare limiti e ostacoli di varia natura.
Il film non sembra tra i migliori di Russell, però è piacevole, ha una sua dignità; e dal punto di vista dell’intrattenimento, dello spettacolo risulta godibile, nonché gradevole a livello visivo.
La storia si ambienta a cavallo tra le due guerre mondiali, quando la tensione politica è forte e i fascisti sono in cerca di alleati anche oltre oceano. In questo delicato contesto, il film segue tre amici, un medico, un’infermiera e un avvocato, che conosciutosi durante la guerra, diventano i principali sospettati di un omicidio. Tra intrighi e cospirazioni, costoro scopriranno presto uno dei complotti più scandalosi della storia americana e cercheranno di trovare il vero responsabile del delitto.
Il legame affettivo del trio di protagonisti è solido, indissolubile e non si piega alle distanze oltreoceano e soprattutto allo scorrere del tempo. Questi tre amici scelgono di celebrare la loro amicizia ad Amsterdam, luogo elettivo e idilliaco, spazio spirituale, quasi magico e fuori dalla realtà, dove si è sperimentato autenticamente e sulla propria pelle un senso intenso di naturale libertà, gioia e vitalità.
Amsterdam è l’allegoria della speranza in un mondo migliore che i tre protagonisti ricercano in ogni circostanza ma faticano a trovare.
L’importanza di questi valori, passioni e sentimenti sono il tema principale su cui si focalizza la pellicola e che rimanda anche all’attualità più stretta nel modo in cui fa rifletterci sulla deriva morale e umana che sta imboccando la società e la democrazia americana (qui sembra che si rievocasse l’assalto al Campidoglio nel gennaio 2021), e più in generale quella occidentale.
Il ritorno con la mente e il cuore nel periodo vissuto adAmsterdam, e nell’armonioso passato vissuto con spontaneità dai protagonisti tra lealtà e speciale complicità, rappresenta quella pace, bellezza e libertà tanto agognate che nessuno di questi ha poi potuto più rivivere nella loro America. Ed è questo l’aspetto che più colpisce ed emoziona, un aspetto di ampio respiro che difficilmente si ritroverà nel resto dell’opera.
Un aspetto che è strettamente umano/relazionale, ma anche di denuncia sociale e politica nel solco di timori per potenziali ricorsi storici che vedono le democrazie nazionali o sovrannazionali minacciate dagli orrori di guerre, discriminazioni, barriere e disumanità varie.
L’invito è quindi a (ri)trovare le vere ragioni di vita, come quelle che il terzetto aveva perseguito nel periodo insieme ad Amsterdam, e saperle custodirle in barba alla malvagità del mondo.
Il lato giallo, noir e mystery della pellicola viene però quasi a distrarre la suddetta componente essenziale e si perde (e ci fa perdere) nei meandri di una trama intricata, che è piuttosto debole e troppo mancante nella scrittura e nella costruzione narrativa (ad esempio: le indagini e i vari indizi non sempre gestiti al meglio).
Oltre ai tanti personaggi il film si diverte a mescolare tra loro vari generi, sottogeneri, toni e piani temporali in una maniera che se da una parte vorrebbe essere vorticosa, creativa e coinvolgente, dall’altra però risulta suo malgrado abbastanza fuori controllo e tutto sommato confusionaria e straniante. Il racconto messo in scena soffre di questa eccessiva ibridazione e inoltre viene anche penalizzato da tante sotto-trame che non sanno valorizzare l’ottimo cast scelto e l’accurata/corretta ricostruzione della New York anni ’30. Il principale difetto è dunque nella sceneggiatura, piuttosto diseguale, troppo verbosa e mal strutturata.
Ed è un peccato, perché il plot è interessante, la ricostruzione storica raffinata ed elegante (su tutto degne di nota le scenografie, fotografia, trucco e costumi), e il cast – da Christian Bale, John David Washington, Margot Robbie, Robert De Niro, Anya Taylor-Joy, a Rami Malek – carismatico.
Christian Bale inoltre, qui anche produttore assieme a Russell, lavorando per sottrazione, è davvero magistrale nel ruolo del medico menomato (ha un occhio di vetro) e sempre in mezzo a situazioni al quanto ambigue e rocambolesche.
Ma l’opera nel suo complesso resta purtroppo inutilmente contorta e superficiale. Il tentativo di fondere finzione a realtà storica, comicità e giallo, è in sé lodevole ma non sempre credibile e riuscito.
Insomma, una pellicola erroneamente didascalica e dalla struttura narrativa fragile che sciupa l’enorme e valido potenziale che possedeva. Un cinema schiavo della sua "forma", che trova i suoi brevi intensi respiri soltanto in poche sequenze: quelle con l’intimità dei protagonisti; quelle nel formato cinegiornale con i discorsi del generale ai reduci; quelle dei titoli di coda, nell’incrocio realtà/finzione; e infine quelle tra i movimenti impazziti e le canzoni durante le quali la frenesia non coincide mai con la felicità…
CURIOSITA’:
1. Il Generale Gil Dillenbeck è ispirato a un personaggio storicamente esistito e il monologo recitato dal personaggio di Robert De Niro (che avrà un ruolo importante nella risoluzione del mistero e nella presa di posizione politica della vicenda) riprende esattamente le stesse parole pronunciate dal vero Generale negli anni ’30.
2. In questo suo decimo lungometraggio il regista David O. Russell torna a lavorare di nuovo con i suoi attori prediletti: Robert De Niro, al suo quarto film con Russell (dopo "Il lato positivo", "American Hustle", "Joy") e Christian Bale al suo terzo (dopo "The Fighter" e "American Hustle"). De Niro col suo ruolo nel "Lato positivo" ottenne la nomination ai premi Oscar come miglior attore non protagonista, mentre Bale vinse la statuetta dell'Oscar come miglior attore non protagonista per "The Fighter".
3. La pellicola ha avuto una partenza flop al Box-Office statunitense, bocciata anche in quello mondiale, con un guadagno, ad oggi, di soli 20 milioni di dollari complessivi su un costo di 80. (Fonte: Boxofficemojo.com).
VOTO: 6 / 6+
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