Regia di David Lynch vedi scheda film
Osservando un'opera d'arte, soprattutto se opera prima di un Autore ormai entrato nell'Olimpo dei grandi artisti del XX e del XXI secolo, l'occhio spesso corre alla ricerca di certezze, appigli, punti di riferimento che sostengano l'analisi e rassicurino l'osservatore e la sua comprensione del testo. Alla stregua di Francis Bacon, David Lynch offre parecchi spunti allo spettatore in questo Erasehead ma proprio come il pittore, sottrae ogni riferimento intellettuale alla sua dimensione rassicurante e rimescola ad arte ogni citazione per renderla un inutile sostentamento alla ricerca del senso delle cose. Così, a fronte di un sicuro debito nei confronti del cinema surrealista ed espressionista, il Regista riesce a creare una dimensione cinematografica del tutto innovativa con cui travestire la propria disperata poetica senza temere il giudizio della storia. Appare dolorosa infatti la visione della vita di David Lynch, uno sguardo fra il cinico e il disincantato sull'alienante condizione dell'uomo moderno che riduce la materia filmica a puro pretesto descrittivo per riflettere sull'incomprensibile significato dell'esistenza come concatenazione di eventi esterni e interni e dei gesti come mera coazione a ripetere. In questo vuoto di senso soverchiato di bruttezza e rumori disturbanti, l'occhio perplesso e malinconico del protagonista scivola dalla piattezza di una comune e insignificante routine all'inferno di una malattia del vivere fatta di incubi perversi che costringerà lo spettatore a condividere quel desiderio di fuga dal reale nascosto nelle profondità degli oggetti quotidiani che non rappresenterà la salvezza. Nasce comunque con Erasehead quell'estetica della deformazione fisica e psichica che accomuna Lynch ad una generazione di registi che cerca nell'alterazione della forma una nuova traccia di bellezza.
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