Regia di David Lynch vedi scheda film
Avendo già visto (ed amato) diversi altri film di David Lynch, e conoscendo quindi il suo stile torbido e irrazionale, non mi aspettavo certo che questo suo esordio fosse un film “tradizionale” con una trama logica e consequenziale: nonostante questo Eraserhead è andato ben oltre quanto mi aspettassi e si è rivelato come l’opera più folle e allucinata di tutta la carriera del regista. Si tratta di un horror surrealista grottesco e delirante, un susseguirsi di allucinazioni da incubo che lasciano lo spettatore disorientato, angosciato e spesso anche disgustato.
La trama, se si può definire tale: Henry Spencer vive in uno squallido appartamento in una desolata città industriale. Invitato a cena dalla bizzarra famiglia della sua fidanzata Mary X, dove gli verrà servito un pollo danzante, viene informato dalla madre di lei (dopo un tentativo di approccio sessuale) che Mary è incinta e quindi Harry la dovrà sposare. La coppia si trasferisce nell’appartamento di Henry insieme al figlio, che è un’orrenda creatura deforme (simile ad un serpente o ad un pesce) avvolta in bende, che piange e strilla continuamente in modo insopportabile, al punto che dopo poco Mary, non potendo più sopportarne le urla, lascia l’appartamento. Henry rimasto solo ad occuparsi dell’essere (che nel frattempo si ammala) sprofonda sempre più in uno stato allucinato popolato da inquietanti visioni: una cantante dal viso deforme si esibisce all’interno del termosifone fino alla più terrificante, a Henry viene mozzata la testa e al suo posto spunta l’orrendo cranio del figlio mostruoso, mentre la testa di Henry viene usata per produrre matite. Al culmine di questo stato allucinato Henry taglia con le forbici le bende che avvolgono la creatura, rivelando i suoi organi interni, e trapassa il suo cuore con le forbici, facendone fuoriscire un liquido nerastro ed una schiuma biancastra che tutto avvolge. Nel finale Henry incontrerà la cantante del termosifone in un luogo indefinito invaso da una luce bianca.
E’ chiaro che una pellicola del genere si presta, come è consueto nei film di Lynch, alle più disparate interpretazioni e al solito il regista si è sempre rifiutato di fornirne una “autentica”.
Pur inferiore a mio parere ai grandi capolavori successivi, e forse “troppo strano” perfino per chi ama le sue altre opere, il film non può non colpire i fan di Lynch, che vi ritroveranno la genesi del suo stile e dei suoi temi preferiti, dalla confusione tra realtà e allucinazione all’interesse morboso per la deformità. Ma se negli altri suoi film Lynch ci attrae con inquadrature di grande fascino per poi colpirci improvvisamente a tradimento con apparizioni repellenti, qui il repellente ha decisamente il sopravvento e lo spettatore, respinto e disgustato, può provare frequentemente il desiderio di interrompere la visione. Girato in bianco e nero e quasi completamente privo di dialoghi, il valore del film consiste essenzialmente nella cura della messa in scena, nella qualità tecnica dell’immagine e nell’originalità visionaria dell’immaginario repulsivamente suggestivo che riesce a creare.
Una ruolo importante lo riveste il sonoro: un coacervo di rumori fastidiosi ed insopportabili, oltre alla sciocca canzoncina “In Heaven” cantata dalla signorina nel termosifone.
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