Regia di David Lynch vedi scheda film
Ci troviamo un gradino sopra (o sotto) rispetto alla nostra coscienza ordinaria. Una dimensione dove tutto può accadere. Dove non sono i processi razionali a strutturare una storia o un racconto ma semplicemente il susseguirsi delle immagini come potrebbe accadere in un sogno o in un incubo. Le inquadrature diventano qualcosa di estremamente permeabile, aperte a qualsiasi possibilità, funzionali a nessuna logica se non quella di un’inquietudine onirica. Perchè è proprio l’angoscia a fare da sottofondo all’evolversi delle immagini, un’angoscia che si concretizza in un suono (ci ricorda il vento?) che riempie gli ambienti come un’amniotica presenza disturbante.
Lynch costruisce il suo personale immaginario in maniera claustrofobica e malata. Molti i riferimenti ai freaks (dallo stesso protagonista, al feto, alla ballerina/cantante), la deformità mentale e fisica diventa connotazione estetica (ma non a effetto) dei suoi personaggi, cifra stilistica che racchiude gli archetipi del suo cinema a venire.
Eraserhead è un film indipendente dal pensiero logico/razionale e affonda le sua stessa esistenza in qualcosa di caldo e soffocante (spesso viene inquadrato un termosifone), in una scala di bianchi e neri che costruisce una realtà sfatta e decadente e in squarci di luce che preannunciano inutili speranze o le assurde fantasie del regista (i momenti musicali sono pura visione).
Non possiamo neanche parlare di allucinazioni perchè il confine tra realtà e alterazione è inesistente. Qui, il cinema, diventa la realtà. I suoi processi e i suoi meccanismi prendono il posto di quelli logico razionali e sono i tagli, le inquadrature, i colori e la musica a dettare le (non)regole del mondo in cui ci ritroviamo immersi. Un cinema allo stato puro, difficilmente comprensibile da chi si afferra ai film come a costruzioni causali in cui tutto debba essere detto e spiegato. Qui è importante lasciarsi scivolare da un’immagine all’altra, bisogna essere premeabili come lo è quello che vediamo. Essere come le sabbia, sapersi adattare a qualsiasi ambiente. Un percorso molto spesso disturbante dal quale cerchiamo di ritrarci a causa delle deformazioni che il regista mostra, un percorso difficile da seguire ma che vale la pena di essere percorso. Per entrare in quel posto (oscuro e luminoso allo stesso tempo) dove la ragione dorme e i mostri sono liberi di generarsi.
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