Regia di Lucrecia Martel vedi scheda film
Film di palude, di provincia, di corpi appiccicosi e feriti, di un caldo umido che non risparmia nessuno, di grovigli e crocicchi familiari che si macerano nell’immobilità: “La ciénaga” di Lucrecía Martel, regista argentina poco più che trentenne, è uno degli esordi più impressionanti degli ultimi anni. Non solo per la padronanza che l’autrice dimostra nei confronti della macchina da presa (difficilissimo mettere in scena i movimenti, gli spostamenti, i dialoghi di sei persone nella stessa stanza senza ripiegare sulla macchina quasi fissa e, contemporaneamente, senza piombare nel caos o nella maniera), ma soprattutto per la capacità di farci percepire, quasi fisicamente, tutto quello che succede sotto i gesti assolutamente quotidiani di un’estate di vacanza. Una famiglia borghese sta in vacanza nella sua casa di campagna, un’altra famiglia di parenti ogni tanto la va a trovare: i giorni ai bordi di una piscina che sembra un pantano si succedono alle tavolate dei pranzi, le sieste e le telefonate di una madre sempre sbronza alle sortite dei ragazzini nei campi e nei boschi, dove la pioggia ha trasformato il terreno in una trappola per animali e automobili troppo pesanti. Dietro questi corpi che il caldo e l’alcool rendono maldestri, che continuano a ferirsi, c’è tutto il malessere di un mondo che è già andato a male e finge di non saperlo. Morbosi e rimossi i rapporti tra madri, figli, sorelle e cugine; rancorosi e rassegnati quelli tra servi e padroni, tra un po’ più e un po’ meno ricchi. Ma questi ricchi sono ormai agli sgoccioli, un retaggio sfatto di un passato che si ostina a non morire: eppure riescono comunque a ritrascinare giù tutto nella loro palude di decomposizione. Senza un personaggio che sia davvero antipatico, senza nessun proclama, senza oltrepassare mai i confini della cronaca familiare che si è proposta di descrivere, Lucrecía Martel ha fatto un film che ricorda Buñuel, un “Angelo sterminatore” realistico, dove i personaggi possono anche andarsene dal loro inferno, ma finiscono sempre per ritornarci.
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