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Saint Omer

Regia di Alice Diop vedi scheda film

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La recensione su Saint Omer

di EightAndHalf
6 stelle

Un horror, negli spazi glaciali di un’aula di tribunale, pelli bianche e pelli d’ebano e una luce vibrante dalle finestre che riscrive umore e atmosfera continuamente come un flusso ininterrotto. Uno schema, quello fisso e allucinato della regia di Alice Diop, che si va sciogliendo in un montaggio incerto, che spezza la vista e l’udito, richiamando uno sdoppiamento continuo di ruoli.

Laurence ha ucciso la figlia di 15 mesi; Rama parte per assistere al processo e scriverci su. Vorrebbe essere analitica e attenta ma ha paura di starsi identificando troppo con una donna troppo misteriosa e imprendibile, una psicologia franta in mille prospettive. E la paura di Rama cresce perché la maternità, evento ugualmente magico e mostruoso, è uno stato geneticamente trasmissibile, così come la femminilità, e lei è incinta.

È un film strano, Saint-Omer, che chiama in causa Cartesio e Wittgenstein e allo stesso tempo evoca la stregoneria e il misticismo. Tutto il film è girato come una seduta ipnotica, evocando nell’inconscio dei personaggi e degli spettatori paure ataviche e ininterpretabili. Non solo nei processi di identificazione femminile, che lega le donne le une alle altre (tema declamato a fine film), ma anche in quelli fra spettatore e personaggio, attivati da una serie di inquietanti sguardi in camera.

Alla sua prima regia di finzione, Alice Diop si crogiola un po’ troppo negli enigmi mostrando la stessa ambiguità della sua imputata Laurence, cambiando le carte in tavola e riuscendo a farlo sibillinamente. Non è molto raffinata quando annebbia un po’ gratuitamente il ritmo per diluire la sostanza, e le manca probabilmente anche la capacità di sintesi, ma è una bella esperienza di intensità variabile, talvolta disturbante talvolta quasi tremendamente tenera, e si può anche trovar gradevole questo farsi rimpallare fra una suggestione e un’altra; però sfiora l’esercizio inconsistente, e forse spesso fa credere che ci siano più cose su cui fattivamente ragionare di quante ce ne siano davvero. 

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