Regia di Ken Loach vedi scheda film
Un film semplice, essenziale, fin troppo. In un paesino ex minerario dell’Inghilterra del nord, alle prese con la crisi di lavoro e attività compromesse, arrivano immigrati siriani a minare equilibri già precari.
Non ci sono Buoni e Cattivi, ci sono solo poveracci maltrattati dalla vita, disillusi, che non credono più alla solidarietà, alla condivisione; troppo astio li attanaglia, troppa ignoranza li acceca.
Quello che non va bene è lo stereotipo, le scene madri, il sensibile contro gli insensibili, tutto costruito secondo meccanismi elementari visti e rivisti, la recitazione da documentario, le contraddizioni palesi, i personaggi squadrati, le bimbe da sfamare ma il parrucchiere sempre pieno, i siriani sempre sorridenti e bendisposti e i locali rancorosi nell’anima, un contrasto sociale che non evidenza che scaramucce, dispetti e piccole ritorsioni.
Il crescendo che si risolve a tarallucci e fiori, in un fiumiciattolo di speranza buonista e accomodante, non fa gridare al miracolo, alla bellezza del mondo come dovrebbe essere, agli uomini che si ammazzano per tirar su cattedrali eterne e poi finiscono per ammazzarsi per strada, nel “paese più ricco del mondo”.
Il Ken Loach che conosciamo, stavolta si è accomodato anche lui su una linea facile, dove il bianco è bianco e il nero è nero, ci mancavano solo i cagnacci alla fine, col fiore in bocca.
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