Regia di Ken Loach vedi scheda film
L’Old Oak è l’ultimo pub rimasto in una località mineraria del nord dell’Inghilterra. Il suo proprietario, TJ Ballantyne (Dave Turner), un uomo buono con un passato non troppo felice alle spalle, passa il tempo al bancone a servire i pochi amici avventori che ancora passano le giornate al locale. E sembra non stia aspettando altro che il giorno in cui sarà costretto a chiudere definitivamente. Ma qualcosa di nuovo nella sua vita avviene quando nella cittadina arriva una comunità di rifugiati siriani in fuga dalla guerra. La maggior parte degli abitanti del posto li accoglie inizialmente con ostilità, TJ Ballantyne, invece, stringe subito amicizia con Yara (Ebla Mari), una ragazza appassionata di fotografia che gli offre l’occasione di vedere le cose da altri punti di vista. Al fine di stemperare la tensione tra i locali e rifugiati siriani, TJ pensa di rivitalizzare il suo locale facendolo ridiventare come era al tempo in cui la miniera era attiva : un luogo dove il bere e il mangiare insieme significava creare uno spirito comunitario tra le persone.
Una macchina fotografata è servita a Ken Loach per far incontrare persone che per storia, cultura e vissuto esistenziale hanno ben poco in comune. Ma la macchina fotografica non funge solo da vero e proprio motore narrativo del film, da elemento catalizzatore che dà la spinta necessaria al suo sviluppo narrativo, perché rappresenta anche la modalità di linguaggio che consente di instaurare con la realtà circostante un rapporto meno conflittuale e più incline all’ascolto. La macchina fotografica è perciò mezzo e fine, è uno strumento di mediazione tra mondi lontanissimi e oggetto di sublimazione della realtà rappresentata. Belle ed emblematiche sono le parole usate da Yara per spiegare a TJ Ballantyne l'importanza che ha per lei quella macchina fotografica. Gliela regalò il padre durante il periodo più tragico della guerra in Siria, gli racconta, mentre la morte e la distruzione si impossessarono di ogni brandello di realtà. Mettere l’occhio dentro l’obiettivo ha significato per Yara catturare la bellezza in mezzo alla distruzione, adottare un punto di vista personale affrancandosi da quello imposto dai signori della guerra. L'inquadratura generata dalla macchina fotografica diventa così per Yara una sorta di spazio salvifico, il luogo dove l’asprezza della realtà viene sublimata nella sua rappresentazione.
Yara è Ken Loach, la sua attitudine a fotografare rispecchia quella dell’autore inglese, che imperterrito continua a puntare il suo sguardo d'autore su spaccati di vita messi ai margini dal senso comune dominante. Spaccati di vita, tanto ordinari perché abitati da persone comuni, quanto straordinari perché proiettano nella loro irripetibile unicità un carattere chiaramente emblematico.
Ogni storia merita di essere raccontata, e Ken Loach pratica da sempre questo assunto con irrisoria naturalezza, come chi sa che lo stesso arbitrio che il sistema mondo usa per togliere luce a intere esistenze, il cinema lo può utilizzare per ridare ai "diseredati" la dignità perduta. Perché, per Ken Loach, prima dell'esistenza di problemi sociali generati a raffica da un mondo sempre più complesso e sempre più senza controllo, esistono uomini e donne a cui non manca niente per incontrarsi, parlarsi, capirsi. Perché, per Ken “il rosso”, oltre un sistema di cose che ha regolarizzato le ingiustizie e le diseguaglianze, esiste il senso dell'umano che non può e non deve andare definitivamente disperso.
“The Old Oak” è l'ennesimo film pienamente dentro questo humus poetico riconoscibile, e TJ Ballantyne è un altro personaggio tipo che va ad arricchire la nutrita galleria umana della filmografia del maestro inglese. Un uomo appassito dalle delusioni ma che sa ancora aprire il cuore alla possibilità di una bella amicizia, un barista raggiunto dal disincanto ma che tenta sempre di tenere il passo dritto lungo la rotta dell'avvenire. Dal bancone del suo pub osserva ma non giudica, ascolta ma non censura, il suo è un punto di osservazione privilegiato che gli consente di avere uno sguardo panoramico sulle idee che entrano ed escono dal locale. E rispetto all’aperta ostilità che i suoi amici avventori non perdono occasione di esternare contro i nuovi arrivati dalla Siria, non ha dubbi nello scegliere di stare al fianco di chi ne ha più bisogno. TJ Ballantyne è il tipo d’uomo che se può fare una cosa la fa, molto semplicemente. Il suo atteggiamento tende a privilegiare la serietà tipica di chi non accampa scuse superflue per spiegare i propri fallimenti, alle recriminazioni lamentose di chi trova sempre nei più deboli i motivi contro cui rivalersi.
Per TJ Ballantyne, tendere la mano agli altri rientra nelle cose più naturali da fare, come pensare che condividere il cibo sia sempre stato il modo principale con cui il genere umano ha fatto pratica di condivisione comunitaria. Per uno come TJ Ballantyne, il miglior antidoto contro il razzismo sta nel ricordarsi chi o cosa gli è stato di aiuto quando si è avuto bisogno di risalire la china.
Come al solito, la regia di Ken Loach si mette sempre alla giusta distanza, quella che consente di osservare quanto accade con fare partecipato ma senza mai apparire troppo invasiva, facendo emergere la passione ma senza mai degenerare nel moralismo di maniera. Senza mai nascondere la scelta di campo che si adotta, ma sempre tesa a far capire il quadro sociale di riferimento nella sua variegata complessità.
In “The Old Oak” tutto questo si compie con regolare precisione, e magari, diversamente da altri film, le conclusioni narrative possono deviare verso un ostentato buonismo ed insistere troppo nella ricerca della speranza. Ma, a mio avviso, è solo un'impressione che non fa giustizia del modo di fare cinema di Ken Loach, che ha quasi novant'anni di età non smette di prendere posizioni chiare contro le cose brutte che abitano il pianeta e di lottare attraverso il cinema a favore di un umanesimo rinnovato. E chi è solito lottare non perde mai la speranza.
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