Regia di Ken Loach vedi scheda film
The old oak è il pub di un tranquillo paesino del nordest inglese, ritrovo abituale dei locali: brava gente, lavoratori senza tanti grilli per la testa, ma insidiati dal tarlo del razzismo all'arrivo in paese di una manciata di rifugiati siriani. TJ, proprietario del pub, e la sua amica Laura sembrano essere gli unici a voler aiutare i nuovi arrivati. Quando chiedono la collaborazione degli abitanti del posto per riaprire una vecchia sala in disuso e farne un luogo di ritrovo dove pranzare una volta alla settimana tutti assieme, locali e rifugiati, ottengono inizialmente un aiuto entusiasta; poi, però, la situazione precipita e in maniera fin troppo rapida.
Ken Loach è Ken Loach, inutile tentare di imitarlo: il primo a stilizzarsi è lui stesso, che insiste nel fare film 'alla Ken Loach' e, in questo caso almeno, nel farli dannatamente bene. The old oak è un lavoro – scritto come al solito dal sodale Paul Laverty – che affonda le radici nel malessere di un nordest inglese impoverito da politiche sciagurate, da un sistema immobiliare arresosi alla crisi economica, dalla chiusura delle miniere del luogo, principale fonte di guadagno per gli abitanti della zona; è da queste premesse che parte il j'accuse verso un insito razzismo della classe lavoratrice britannica nei confronti degli immigrati, nel caso specifico di alcune famiglie di rifugiati siriani. Certo, non tutto funziona nel racconto (i siriani martiri, perennemente pronti a porgere l'altra guancia; i bulli del pub intrisi di ferocia e razzismo che si convertono nel giro di un secondo dopo aver sentito due parole, per quanto sensate, di critica verso di loro: c'è un evidente manicheismo nella costruzione dei personaggi), alcuni elementi rimangono lasciati misteriosamente in sospeso (che fine ha fatto il tizio che spacca la macchina fotografica? E i tamarri con i cani violenti? E quella cavolo di sala danneggiata sarà riaperta ora che i cattivi si sono di colpo pentiti? Boh), ma nel suo complesso The old oak è un'opera assolutamente godibile e piena di messaggi di assoluta importanza. Altro elemento che più Loach non si potrebbe, il casting che pesca tra nomi di scarsa notorietà – quantomeno a livello internazionale, che poi è il piano su cui si orientano le pellicole del regista – eppure fa centro su tutta la linea: difficile chiedere di meglio dei vari Dave Turner, Ebla Mari, Claire Rodgerson, Trevor Fox. 6,5/10.
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