Regia di Ken Loach vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 76 - CONCORSO
Al Festival di Cannes 76 la sezione prestigiosa del Concorso ha accolto con entusiasmo The Old Oak, il film che segna il ritorno in regia del grande cineasta britannico Ken Loach. Ottantasette primavere il prossimo giugno e la perseveranza nel raccontare storie incentrate su problemi esistenziali e materiali che coinvolgono il ceto meno abbiente.
Ma ormai le pietre piovono non più solo o semplicemente sulla classe operaia britannica.
Non meno presi di mira appaiono gli immigrati, spesso oggetto di azioni intolleranti proprio da parte del ceto più debole, che, anziché comprendere le difficoltà di integrazione, ne intravede un pericoloso ostacolo che li priva di certi diritti acquisiti col semplice fatto di essere nati nel Regno Unito.
Il mite e corpulento vedovo cinquantenne TJ Ballantyne gestisce l’unico pub rimasto della cittadina di Durham, borgo minerario un tempo fiorente grazie all’attività estrattiva, e ora paesino di case disabitate che multinazionali immobiliari acquistano a prezzi bassissimi, attuando speculazioni che non giovano a chi ha deciso di non abbandonare il centro abitato.
Lo stesso TJ ha dovuto col tempo restringere la sua attività, non più redditizia come un tempo, per i problemi nel sostenere i costi fissi.
L’arrivo in città di profughi siriani scatena azioni di protesta e intolleranza tra la popolazione.
Una giovane ragazza, tra i nuovi arrivati, attira l’attenzione e la tenerezza del barista quando viene strattonata dopo aver ripreso un manifestante rabbioso nei confronti degli immigrati.
Si tratta della prima scintilla che rianima quell’uomo adombrato dai dispiaceri e dai dolori familiari, che per la prima volta torna ad avvertire uno stimolo di orgoglio e di vitalità nel partecipare ad iniziative a favore gruppo dei profughi.
Costretto a scegliere tra il proprio guadagno e la causa umana di questi fuggitivi inermi, TJ saprà fare la sua scelta, anche a costo di vedersi tradito dal nucleo più duraturo dei suoi clienti e amici.
Il grande cineasta di Nuneaton, da sempre paladino dei diritti civili e delle sorti che incombono sulla classe operaia, si adegua necessariamente alle problematiche che incombono sul vivere civile e che vedono anche il Regno Unito come il l’approdo di disperati provenienti, in questo caso, dal sud-est asiatico, in cerca di un luogo in cui trovare rifugio e le possibilità di vita pacifica.
Un lavoro appassionato e vitale, coinvolgente ed emozionante, che nella inevitabile schematicità della sua struttura narrativa, si erge a urlo di dolore, di denuncia contro i comportamenti vessatori da parte di quella stessa classe operaia contro cui piovevano sette giorni su sette le pietre sacrificali dovute alle ingiustizie da parte della classe più forte.
Lo sguardo dell’anziano e saggio Loach si volge a un sentimento di profonda umana apertura verso i perseguitati, e guarda con un occhio incredulo la reazione immatura, epidermica, da parte di molti individui, un tempo vilipesi, e ora pronti a schierarsi contro le nuove vittime, con l’atteggiamento arrogante e ottuso molto simile a quelli dei persecutori di poco tempo fa.
Corsi e ricorsi storici che un Loach pessimista e sconcertato comprende per primo non possano che continuare a far parte del bagaglio culturale della peggior specie, sempre irriducibilmente attiva, della natura umana.
Di fronte all’importanza virale del messaggio che il regista ancora una volta si prodiga a diffondere, non esiste schematismo di sorta in grado di attenuare la potenza di un’opera sempre sull’orlo di scivolare verso una forma di denuncia che assomiglia alla retorica.
Poco importa se il rischio esiste e si manifesta anche stavolta, non tanto di meno rispetto a quanto già avvenuto nel precedente Sorry we missed you (2019).
Loach santifica gli eroi di tutti i giorni, quelli laici ma non meno onesti, che hanno illuminato religioni e confessioni.
Non è da meno il suo favoloso barista TJ Ballantyne, un altro personaggio che merita tutto il valore di un film, e lo spettatore non può che essere riconoscente a Loach, e continuare a volergli il mondo di bene che si merita attraverso tutta la sua (eticamente e moralmente) immensa opera artistica e cinematografica.
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