Regia di Emerson Moore vedi scheda film
Non tutte le pannocchie centrano il buco.
Ecco cos’è “(Escape) the Field”: due personaggi entrano in un container dove c’è una specie di macchinario al quale si avvicinano e a quel punto uno dei due fa all’altro: “Hm, è una specie di macchinario!”
Dunque, cagata micidiale questo “(Escape) the Field”, ma più per ciò che concerne la caratterizzazione scialba e lasca dei personaggi, per giunta messa in scena da un gruppetto d’attori (dal Theo Rossi di “Sons of Anarchy”, “Emily the Criminal” e “the Penguin”, il migliore, a Tahirah Sharif, Shane West e Jordan Claire Robbins) non certo proprio sublime, in fase di sceneggiatura (stesa dal regista stesso, Emerson Moore, semi-esordiente in entrambi i campi, oltre che co-produttore e presente davanti alla MdP in un cameo, con l’aiuto di una coppia di altrettali capocce sonanti composta da Joshua Dobkin, più conosciuto, a meno di omonimie, come assistente scenografo, e Sean Wathen, già segretario di produzione sui set di “House M.D.”), e quindi per i dialoghi triti e ritriti, e poi per la sciatteria incoerente della continuità contraddetta a ciclo continuo e per i molti “colpi di scena” che sono talmente costruiti s’un canovaccio unto e bisunto da sentirli e vederli arrivare sin da quel che sembrano essere ore prima lungo i binari della prevedibilità che si perdono in cul-de-sac seminati a spaglio che per il… resto (il “mostro del mais”, ad esempio, è sì risibile, ma il suo “essere” così “Giacomino mi sono dimenticata di comprarti il costume di carnevale quindi toh, adesso vieni qua a mamma che ti spalmo di vinavil con una pennellessa del 20 e t’appiccico addosso tutto il muschio che ho grattato via dal sottogronda così sarai un perfetto Grinch o Elon Musk, scegli tu!” ha una coerente ragion… d’essere), perché in fondo se mi metti un gruppo di persone che si risvegliano in un labirintico campo di mais alto e maturo fin oltre l’orizzonte io il film - anche se scritto e diretto da Bruno Liegi Bastonliegi - non lo perdo, punto.
↑ ↑ ↑ The City ↑ ↑ ↑ & ↓ ↓ ↓ ytiC ehT ↓ ↓ ↓
Tutto sommato discreta la gestione del set “chiuso” (le riprese si svolsero nel 2021 in pieno shut/lock-down dell’epoca CoViD-19 col SARS-CoV-2 che ancora imperversava senza nemmeno uno schifo di vaccino nordcoreano) nei pressi di Toronto (la fotografia è di Stephen Whitehead, mentre il montaggio e le musiche sono, rispettivamente, di Mitchell Martin e di Will Musser), sia in esterni che in interni [e in effetti “(Escape) the Field” potrebbe essere - oltre che una variazione in 2D sul tema del “the Cube” di Vincenzo Natali (ovviamente anche regista del convitato di pietra che si chiama "In the Tall Grass") e del “BackRooms” di Kane Parsons - una versione di serie B del film nel film di “the Bubble”] e “interessante” il finale (che “ovviamente” è tronco e aperto per lanciare a monito contro l’intiera umanità un eventuale seguito) rivelante l’ubicazione del non luogo nel quale si svolge l’azione, ovvero uno squidgamesco mondo sotterraneo sgamato dall’inquadratura di una Londra notturna ripresa dall’alto (sono inconfondibili la serpentina del Tamigi con l’ansa dell’Isle of Dogs e le macchie scure di Hide Park e dei Kensington Gardens e dei Saint James e Green Park di Buckingham Palace) con uno zoom all’indietro in plongée divino-abissale (partente da un campo che con un paio di clic attraverso Google Maps si rivelerà essere Horn Park, ovvero l’Old Colfeians Sports Ground, tra Lewisham ed Eltham, nel sud-est della capitale del Regno Unito), ma… ribaltata orizzontalmente di 180°, ovvero una Londra-specchio: insomma, ennesima coglionaggine inconsapevole o elemento “dirimente” della trama?
Più una scena infra-credits che “chiude” il cerchio, rendendolo uroborico (la possibile “Fase 2” suddetta).
Escape the Cinema: non tutte le pannocchie centrano il buco, e qui sarebbero * ¾, ma… l’ho già detto “Campo di mais!”? Ecco.
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