La vita ha bisogno di regole, di imposizioni, di sacrifici, di penitenze.
La via maestra che regola l'organizzazione di un convento poi, trova nella imposizione di ritmi e condizioni di vita, sacrifici e osservazione di precisi rituali destinati a ripetersi, il presupposto per raggiungere quella dimensione mistico-contemplativa che è ritenuta ancora oggi, da parte di chi crede e tenta di approcciarsi al proprio Dio in modo più pertinente, l'epicentro focale di tutti gli sforzi per tendere ad una dimensione mistica che spesso sfugge alla materialità della vita quotidiana.
In un passato imprecisato che ricorda da vicino il periodo della dittatura fascista, presso un convento bolognese che ospita alcune orfanelle considerate preziosi veicoli di collegamento con l'Onnipotente, monache e bimbe si preparano a celebrare la festa del Natale, seguendo i riti delle celebrazioni della natività, pensando anche a mascherarsi per il presepe vivente della messa natalizia.
Intanto, nel trambusto dei preparativi, una elegante donna borghese (Valeria Bruni Tedeschi) cerca di attirare l'attenzione delle bimbe, richiedendo loro con determinata insistenza una preghiera di intercessione per il fidanzato, probabilmente impegnato al fronte.
In cambio la donna offre alle orfane, ovvero "le pupille", una allettante torta al cioccolato e liquore, fatta con più di settanta uova.
Ma i progetti della inflessibile badessa (Alba Rorhwacher) vertono su un ulteriore sacrificio a cui sottoporre le pargolette ingenue, in grado di elevare ancor più in alto la dimensione delle bimbe nel cuore di quel Dio che, agli occhi teneri di un infante innocente, non può non apparire nel proprio condivisibile intimo come un vero e proprio guastafeste.
Ma a quel punto sarà proprio l'innocenza infantile ad averla vinta sulla premeditazione scaltra e deviata dell'età adulta, salvo poi rivelare quanto l'stinto di sopravvivenza non possa escludere un atto di generosità che pareva tutt'altro che scontato ed insito nell'umano istinto di preservazione.
Il bel cortometraggio di Alice Rorhwacher, con grande soddisfazione ritrovato nella cinquina dei titoli in lizza per il miglior cortometraggio ai prossimi premi Oscar 2023, prodotto niente meno che da Alfonso Cuaron, prende spunto da una lettera che la scrittrice Elsa Morante inviò all'amico scrittore e critico Goffredo Fofi in occasione della celebrazione del Natale nel 1971.
Una missiva contenente un curioso aneddoto, che tradotto in cinema ha il grande merito di saper cogliere alla perfezione la spontaneità dell'età infantile.
Occhi che strabuzzano di delusione, di entusiasmo, poi di nuovo di scoramento per l'ennesima mortificazione subita.
La Rorhwacher riesce infatti a cogliere la purezza di una espressione naturale che solo un bimbo riesce ad evitare di mascherare o di controllarle a piacimento dell'artista ed attore nei cui panni prematuramente viene talvolta a trovarsi.
Del bambino emerge la potenziale naturalezza che si esprime attraverso espressioni di stupore, di incanto, di meraviglia.
Tutti stati d'animo che la regista riesce a cogliere alla perfezione, distaccandosi completamente da quella fastidiosa tendenza che associa alla recitazione infantile solo situazioni caramellose o smielate.
Il piccolo, delizioso film è inoltre felicemente ambientato nel centro storico bolognese, con scene che si snodano attorno al lungo porticato che conduce al Santuario della Madonna di San Luca, e si giova, nel suo veloce racconto, di un minuzioso dettaglio di particolari storici e di una scenografia perfetta che rende palpabile la focalizzazione storica, come in certi indimenticabili film in costume di Pupi Avati girati negli anni '80.
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