Regia di James Mangold vedi scheda film
Un quinto capitolo per Indiana Jones è stato sicuramente un azzardo produttivo, considerato il lungo intervallo temporale che lo separa dal film precedente, a sua volta uscito a distanza di vent'anni da L'ultima crociata, con un Harrison Ford che si è trovato a interpretare l'archeologo all'età di 80 anni, con tutto quello che comporta questa scelta in termini di definizione del personaggio e coerenza narrativa. La sceneggiatura, affidata a un team eterogeneo di nomi fra cui spicca David Koepp che aveva firmato già il copione del quarto capitolo, prevede una mezz'ora iniziale ambientata ai tempi del nazismo con Ford ringiovanito grazie alla CGI (scelta che potrà essere facilmente criticata dai puristi, forse non del tutto a sproposito), e che sembra l'ideale contraltare del prologo de L'ultima crociata in cui Indy giovane era interpretato da River Phoenix; in seguito si passa al 1969, con un Ford ormai maturo che viene riportato in attività dopo la pensione da un'affascinante figlioccia e dai consueti intrighi di ex nazisti sempre desiderosi di reliquie dagli incredibili poteri. Lo script è fedele al concept che anima l'intero franchise, tiene il ritmo piuttosto serrato con una sfilza di colpi di scena e continui ribaltamenti di prospettiva che riescono a non risultare troppo scontati, risulta abbastanza coinvolgente negli inserti puramente action, anche se la durata di due ore e mezza rischia a tratti di stancare. La parte più leggera, che riguarda il confronto/scontro fra Indiana e la giovane interpretata da Phoebe Waller-Bridge, omaggia in maniera arguta i primi capitoli della saga con tocchi di "sophisticated comedy" che sono fra le migliori invenzioni degli sceneggiatori e che funzionano abbastanza bene, grazie anche alla verve dimostrata dalla giovane attrice e dall'anziano Ford, che riesce efficacemente a prendersi in giro. La regia di Mangold a mio parere è una novità che non fa perdere nulla al film in termini di compattezza e di tenuta spettacolare e che migliora sicuramente rispetto al capitolo precedente, diretto da uno Spielberg ormai un po' stanco della saga e che stavolta ha saggiamente rinunciato in favore del collega, che non manca di mostrare un tocco personale soprattutto nel lungo incipit e in alcune sequenze, comprese quelle girate in Sicilia, che prevedono un timing della regia che non sbagli un frame e si affidi ad un montaggio robusto ma non banalmente commerciale. Non possono non esserci alcune riserve, soprattutto alcune scelte di scrittura verso la fine che richiedono una sospensione dell'incredulità davvero eccessiva, in particolare quando si ha la presunzione di mettere in mezzo a sproposito un personaggio come Archimede, ma a mio parere ci si potrebbe anche chiudere un occhio rispetto al godimento assicurato dai fattori più solidi fin qui riportati, e poi la saga ha previsto in quasi tutti i capitoli qualche scelta più folle e meno allineata al gusto standard dei blockbuster. Harrison Ford è sempre gustoso nella parte e mantiene intatta l'iconicità assoluta del ruolo, tanto che è stato giusto confermarlo nonostante l'età avanzata; la Waller-Bridge ha grinta e fascino in giusta misura e fra i caratteristi si apprezzano un Mikkelsen che fa una sintesi di altri suoi cattivi con un gigionismo mai troppo spinto e un Thomas Kretschmann che gli fa efficacemente da spalla. Riuscirà a ripagare i 295 milioni di dollari spesi, o si attesterà su cifre non esaltanti, come sembrerebbero suggerire i primi dati del box office? In ogni caso io consiglio di andare e di guardarlo con quell'apertura sognante e priva di pregiudizi che ha permesso a "I predatori dell'arca perduta" di diventare uno dei film più amati dell'intera storia del cinema. Voto 6/10
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