Regia di James Mangold vedi scheda film
Sono passati quindici anni dal "Regno del teschio di Cristallo" e ben quarantadue da "I predatori dell'arca perduta". La voglia di Indiana Jones rimane intatta nonostante il tempo trascorso e sono sufficienti due note, un aereo che vola sopra la carta geografica e qualche frame per ritornare ad indossare i panni dell'avventuriero e dell'archeologo più famoso di sempre. I motivi per coccolarsi nei ricordi risuonano nel tema evocativo di John Williams mentre la frusta ed il cappello ci ricordano la scultorea giovinezza del dottor Jones e le sue straordinarie conquiste quanto a donne e gingilli antichi e perduti. Ma ritornare al cinema per il quinto episodio del franchise creato da Steven Spielberg e George Lucas ha portato con sé numerosi quesiti e perplessità. Tra i primi vi era la necessità di dare una spiegazione al mancato coinvolgimento di Shia LaBeouf che sembrava destinato, prima del 2008, a raccogliere il testimone di Harrison Ford e diventare il nuovo Indiana Jones, se non proprio il nuovo dr. Jones; tra le seconde i dubbi di un nuovo capitolo che, fatto a meno dei suoi creatori, ora defilati al ruolo di produttori, si è preso il rischio di ringiovanire un mito all'alba degli ottant'anni quando cioè risulta impossibile per questioni anagrafiche e di coerenza narrativa ritornare ai tempi feroci del nazismo, periodo nel quale sono stati ambientati i capitoli più entusiasmanti della saga. Un problema che già si era avvertito con il sessantacinquenne dr. Jones nelle lande sudamericane alla ricerca delle teste aliene di cristallo. La guerra fredda e le spie russe non avevano lo stesso fascino di Hitler e degli scienziati dell'Ahnenerbe e nemmeno i teschi allungati del lontano Perù, a cui Roberto Giacobbo ha dedicato fin troppe bislacche puntate di Voyager, potevano superare per fascino e popolarità i reperti biblici su cui si fonda gran parte della nostra cultura.
Perso definitivamente il Santo Graal tra le rocce di Petra ed occultata l'arca in un remoto ed introvabile magazzino federale non vi erano più miti, tanto radicati nell'immaginario comune, da dissotterrare. E non vi erano nemmeno i più crudeli tra i nemici, ovvero i nazisti, che speravano, forse sul serio, di vincere la guerra con poteri magici e ancestrali o, quanto meno, speravano, con i loro scavi e con gli studi archeologici promossi da Himmler di legittimare la superiorità ariana sul globo terrestre.
Archiviato nazismo, paleocristianesimo e giudaismo vi era comunque la possibilità di sfruttare le enormi tensioni tra superpotenze che nel 1957 (anno coerente con l'età di Harrison Ford e del personaggio) si manifestavano chiaramente in ogni ambito, da quello militare a quello scientifico. Vi era dunque materia per una versione senior di Indiana Jones e così si arrivò al personaggio di Irina Spalko e alla corsa contro i sovietici per evitare la vittoria del comunismo. La magia però era finita già allora per cui è stato ovvio chiedersi, prima di entrare in sala, cosa attendersi dal quinto capitolo perché, a quindici anni di distanza dall'ultimo, il film girato da James Mangold, stando all'età di Harrison Ford doveva atterrare con l'aereo nei meno romantici anni '70 o scoprire una porta dell'universo che consentisse al vecchio Indiana Jones di ritornare in quei magici anni Trenta in cui anche gli archeologi lottavano contro la tirannia del fascismo. Una nuova crocieta anticomunista oppure un "Back to the future" per così dire.
Tra tante incertezze, la voglia di tornare bambini e un comprensibile ed agognato effetto nostalgia ho portato con me la curiosità di vedere sul campo Phoebe Waller-Bridge, autrice ed interprete della straordinaria serie "Fleabag", e la più assoluta ignoranza, sperando che "il quadrante del destino" mi sorprendesse.
Passato dal cinema "indie" delle origini al cinema su "Indy", James Mangold, insieme gli sceneggiatori che a vario titolo si sono occupati della scrittura, ha ricollocato presenti e assenti (Harry Jones III) in una nuova avventura ambientata nel 1969. Inevitabilmente costretto a fare i conti con l’epoca aurea del franchise, il regista di New York ci ha offerto uno spettacolare attacco al treno, mitologia nazista e croci uncinate con tanto di falsi indizi culminanti nel ritrovamento della lancia di Longino, sacra reliquia che dal 1938 al 1945 risiedette a Norimberga come parte del bottino di guerra requisito agli austriaci con l’Anschluss. Proiettati nuovamente nell’aspro conflitto verso il totalitarismo nazi-fascista Mangold ha girato l’usuale prologo nel 1944 con un omaggio evidente alla giovinezza del personaggio. Un ritorno al passato indispensabile nell’economia della narrazione ma non invadente. L’episodio si conclude con il ritrovamento di una parte della macchina di Anticitera, un calendario meccanico realmente esistente e risalente al 178 a.C.; quindi l’azione si sposta in avanti nel tempo, subito dopo l’allunaggio, quando il dottor Schmidt (ispirato al nazista Wernher von Braun ideatore delle V2) si imbatte nel vecchio Indiana Jones e nella sua scaltra figlioccia dando il via ad un’avventura rocambolesca e ad una serie di considerazioni sul personaggio.
In sintesi il regista di New York ha fatto tutto quanto ci si attendeva da lui. È ricorso alla macchina del tempo degli effetti speciali, ha riesumato il Nazismo i cui criminali venivano cacciati con estrema fierezza da Simon Wisenthal proprio negli anni ’60, ha proposto quanto più possibile dell’immaginario creato nei quarant’anni della saga. Funziona il personaggio di Waller-Bridge che riassume in sé la preparazione accademica del suo padrino e la sfrontata indipendenza del personaggio televisivo che le ha dato notorietà. Il piccolo “Shorty” del “Tempio maledetto” viene indirettamente omaggiato da un altro callido ragazzino dai tratti esotici di nome Teddy. C’è da chiedersi se anche il giovane attore francese Ethan Isidore, discendenze brasiliane e mauritiane, dovrà aspettare trentacinque anni per ottenere i riconoscimenti ottenuti dal coreano Ke Huy Quan. Il citazionismo non si esaurisce nella presenza di un bambino cresciuto precocemente nelle strade di Tangeri. Mangold riprone in chiave ironica e speculare la famosa scena di “Alla ricerca dell’arca perduta” in cui Jones spara all’arabo dotato di scimitarra. Stavolta è Indy ad agitare vezzosamente la frusta davanti ad una schiera di pistoleri poco propensi ad assistere allo spettacolino. Ma è senza dubbio nella conta delle ferite, nella bellissima scena finale, in cui l’idolatria per il capostipite si manifesta con nostalgica dolcezza. La nostalgia è di casa del resto. Non poteva essere altrimenti ed è sufficiente guardare il toso nudo e avvizzito di Harrison Ford che si presenta in mutande alla porta del vicino. La freschezza della gioventù ha lasciato il posto ad un corpo ammaccatto e incerottato che pure scalpita come un “cavallo in metropolitana” nonostante l’età ed il pensionamento coatto. Sallah, ormai immigrato regolare, si lascia andare alla nostalgia per il deserto ed invoca sospirando le mattine in cui si alzava senza sapere quale altra avventura gli avrebbe proposto il destino. Il destino di gloria avrebbe lasciato nel dottor Jones la triste consapevolezza di un’anzianità indesiderata, solitaria e non priva di rimpianti e rimorsi.
Credo che il discorso più interessante che il film di Mangold ci lascia riguardi la vecchiaia. Quella di un uomo (e di un professionista) che sente di poter dare ancora molto ma viene messo da parte da una società in fermento, dimentica del passato e della storia ma proiettata in un futuro di gloria e all’esplorazione di nuove frontiere dell’ignoto. Direi che l’archeologo e avventuriero Indiana Jones è lo specchio fedele dell’America, ben tratteggiata dalla parata newyorkese, tanto cinica quanto mutevole. Harry Jones ne comprende la somiglianza e per questo si scopre vecchio ed inutile salvo poi comprendere che la sua esistenza non si esaurisce nei successi di una professione di cui nessuno sembra sentire più il bisogno. Non manca una seconda lettura, extra narrativa, che ha a che vedere con il personaggio. Indiana Jones è un eroe datato. Apparso per la prima volta nel 1981, ha lottato contro un nemico che la contemporaneità steta a percepire come tale. Indy ha fatto il suo tempo, ha cercato miti che la scienza odierna ha messo a tacere ed ora è pronto al pensionamento. Non prima di averci regalato altri inseguimenti, altre meraviglie e qualche perla di saggezza.
Mi rimane qualche dubbio sull'orologio da polso di Voller ma nel complesso apprezzo le avventure ed il nuovo corso cogitabondo del nuovo vecchio Indiana Jones. Il "Quadrante del destino", forse, non mi ha sorpreso, ma mi ha accompagnato in un crepuscolare addio alla giovinezza.
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)
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