Regia di James Mangold vedi scheda film
A livello narrativo e di messinscena forse latita di fascino (senso di meraviglia, respiro epico e trovate originali), ma il film, che si muove tra nostalgia e vitalità, è godibile. La regia funziona, e Ford non risente del tempo che passa. Un’avventura avvincente che, tra ritmo e commozione finale, saluta con rispetto e affetto la saga. Voto: 7.50
«…E ho capito che non è a cosa credi il punto,
ma con quanta forza ci credi…»
La pellicola è il quinto capitolo della mitica serie sull’archeologo più famoso e iconico del Cinema, e la chiude in bellezza.
Sebbene questo film esca 42 anni dopo “I Predatori dell’Arca perduta”, è ambientato nel 1969, 33 anni dopo la storia del 1936 e riprende le vicende 12 anni dopo quelle de “Il Regno del Teschio di Cristallo”.
Si può ritenere un episodio migliore del precedente film del 2008 (il meno riuscito di tutti), sebbene inferiore al primo e al terzo.
Dalla sinossi ufficiale: 1969. Mentre l'uomo sta per mettere piede sulla Luna, Indiana Jones è ormai anziano, prossimo alla pensione, e superato dal mondo che lo circonda, un mondo in cui scienziati ex-Nazisti collaborano persino con la NASA. Quando però Helena (la figlia del suo caro amico archeologo Basil Shaw) ruba il Quadrante del Destino per rivenderlo al miglior offerente, Indiana Jones è costretto a tornare in azione...
Per la prima volta non c’è più Steven Spielberg alla regia, così come è assente George Lucas nell’ideazione e scrittura del soggetto, della storia (ma entrambi sono ancora i produttori esecutivi).
La coinvolgente e interessante sceneggiatura, scritta da Mangold insieme a Jez Butterworth, John-Henry Butterworth e David Koepp, al netto di qualche carenza, è un esatto dosaggio di azione e introspezione.
La regia di James Mangold, sebbene replichi molte delle situazioni e dei cliché dei precedenti capitoli della saga, nel complesso funziona, è efficace, e, anche se non all’altezza del predecessore, non fa rimpiangere più di tanto Spielberg; riuscendo ad infondere nell’opera la giusta dose di passione, senso dello spettacolo e ironia, sulle note iconiche di John Williams.
A livello formale è tutto impeccabile: lo stile mozzafiato delle sequenze – soprattutto quelle di inseguimento – si sposa bene col comparto tecnico-visivo di notevole qualità (scenografia, fotografia, montaggio accurati; ma ottimi anche gli effetti speciali visivi che ringiovaniscono il protagonista – anche se ben lontani dall’intenso fascino trasmesso dalla magia dell’artigianato dei trucchi visivi dei primi episodi).
L’ottantenne (ma in forma smagliante) Harrison Ford non risente del tempo che passa, anzi, col suo personaggio ci viaggia attraverso; mentre i suoi duetti con la figlioccia colorano il racconto di un'umanità fragile e imprevista (Indy stavolta è colto in una nuova prospettiva, quella malinconica e crepuscolare della parte finale della sua vita e del suo ritiro dalla vita accademica, ma anche quella che lo vede a disagio in un mondo che inizia a scorrere diversamente e in cui non sa se è pronto ad affrontare ancora un’ultima corsa).
Il resto del cast è tutto in parte (Mads Mikkelsen come villain è convincente. Phoebe Waller-Bridge riesce brillantemente ad interpretare Helena, rendendola scaltra e grintosa – con la sua autosufficienza, audacia e intraprendenza, porta un’eco del passato, riaccende l’entusiasmo per l’avventura e ridona nuova linfa a Indiana Jones. Infine, Ethann Isidore, che da il volto al giovanissimo Teddy, non può non far pensare al Ke Huy Quan presente in “Indiana Jones e il Tempio Maledetto”), e i loro personaggi mostrano una fragilità umana molto toccante (Sallah, interpretato da John Rhys-Davies, accompagnando Indy all’aeroporto, gli dice che gli manca svegliarsi ogni mattina chiedendosi quale avventura porterà la giornata).
«Quelli sono giorni passati, ormai…», «Può darsi… Oppure no!».
IL RUOLO CENTRALE DEL TEMPO
Alla cupa e amara tematica dell’inevitabile passare degli anni è associata in questo capitolo anche l’idea tutta narrativa del “viaggio nel tempo” (elemento funzionale che in fondo ci ricorda, tra le altre cose, che non si possono cancellare i propri problemi e traumi cambiando il passato, ma si può sempre ricordare quel bene che una persona ha donato e ha vissuto…).
Il mistero archeologico legato alla macchina di Anticitera costruita da Archimede è davvero intrigante e da un senso anche a quest’ultima avventura di un Indiana Jones che ha vissuto a lungo nel passato e ora deve riscoprire se stesso e l'importanza del presente.
Non è un caso se la pellicola è ambientata nel 1969 durante i mesi in cui l’America festeggiava il primo allunaggio da parte dell’uomo: la conquista dello Spazio incarna la voglia di cambiamento e di futuro della società americana e risulta in conflitto con lo spirito retrospettivo del protagonista, devoto alla preservazione del passato ed esercitante sempre attivo di una scienza che studia l’antichità e il perduto nel corso del Tempo, l’archeologia.
Adattarsi a un presente e a una nuova fase di vita sarà doveroso, ma risulterà doloroso e difficile da attuare per uno che ha fatto dell’avventura e della ricerca di antichi e magici tesori, la ragione del proprio vivere, a maggior ragione quando questi ultimi hanno poteri inspiegabili e sollevano i grandi dilemmi legati ai misteri della vita e della natura umana.
Sotto questo punto di vista, Indiana Jones rimarrà sempre credibile, anche ora che è anziano e fuori dal (suo) tempo, perché ancora fedele alla vera sostanza del suo essere e quindi ancora (ri)chiamato (dalla sua natura e dagli eventi) a fare quello a cui ci ha da sempre abituato.
Il Tempo, in questo episodio, è il protagonista allegorico, è un punto di debolezza del protagonista (chi non desidera vivere la giovinezza per sempre?), ma soprattutto un maledetto limite che si vorrebbe, almeno intimamente, superare [ aspetto questo che a livello narrativo e tematico era stato trattato anche da "Top Gun: Maverick" , altro film sull’addio ad una saga epocale e sulla toccante (non volontà di) uscita di scena di un personaggio, a sua volta onnipresente nel Mito che fu e che sarà ].
Nel film non c’è solo il Quadrante che apre dei varchi temporali, ma tutto è scandito dal Tempo: l’eroe che diventa anziano, il mondo che cambia intorno a lui, un certo adattamento da compiere, i tormenti e i dolori del proprio recente passato in relazione allo sguardo verso l’imminente futuro.
Il Tempo è il vero, assoluto protagonista anche e soprattutto per come niente e nessuno possa riuscire a sfuggire alle sue leggi.
Eppure, ciò malgrado, Indiana Jones continua a combattere ostacoli, limiti e condizionamenti temporali (e non soltanto essi), non si fa piegare (più di tanto) nell’animo e nel fisico. Accetta il viaggio e quel che comporta, su tutto, la riscoperta di se stessi ma anche la volontà di “reinventarsi”…
In questa prospettiva Harrison Ford riesce a dare così una degna, dolce e definitiva conclusione al suo personaggio nel farlo continuare a rimanere quel tipo appassionato e determinato che è sempre stato.
L’IDEALISMO DI INDIANA JONES E LA SUA EREDITA’
Sempre parlando di legami tra il passato e il futuro, un altro aspetto molto rilevante del film è il ritorno ai Nazisti. Apparentemente si può leggere il tutto come elemento d’antagonismo che fu molto efficace nei primi episodi della serie, e dunque un suo abile riutilizzo in questo quinto episodio a scopi narrativi poteva da una parte funzionare di nuovo e dall’altra fungere come omaggi e rimando.
In realtà la sua funzione è molto più complessa di ciò che potrebbe apparire da una prima lettura.
Perché tornare al Nazismo pur ambientando la storia negli anni Settanta? Come esplicato dal regista in alcune sue interviste, la saga di Indiana Jones ha avuto un suo principale riferimento negli anni ’30 e ’40, ma dal momento che si è voluto portare avanti nel Tempo le vicende del nostro avventuriero, in parallelo con il corso della sua esistenza, allora ci si è dovuti attenere con onestà anche agli inevitabili mutamenti suoi e dei vari periodi storici affrontati.
Nel caso di “Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo”, ambientato durante gli anni ’50, e di “Indiana Jones e Il Quadrante del Destino”, ambientato durante gli anni ’60/’70, la distinzione tra il “Bene” e il “Male” non è stata più chiara come durante gli anni ’30 e ’40.
Il nemico è ora più subdolo, s’infiltra ovunque (nel film ci sono scienziati ex-Nazisti che collaborano persino con la NASA), ma soprattutto riesce ad essere più ambiguo e pericoloso: i Nazisti sono riusciti a sopravvivere dopo la loro epoca, sono riusciti ad inserirsi nella società occidentale, sono diventati parte di essa (il caso del personaggio di Boyd Holbrrok, un ragazzo sudamericano che giura fedeltà ai Nazisti, riflesso dei tempi attuali, in cui forze maligne ora occupano posizioni nuove nel nostro mondo e risultano meno prevedibili e identificabili), evolvendo persino il loro pensiero.
Ecco allora il focus sull’idealismo di Indiana Jones e su come questo sia ancora oggi molto attuale e di urgente necessità: anche se i quadri storici mutano, per fortuna la nobiltà d’animo del nostro eroe resta inscalfibile a queste critiche evoluzioni.
L’idealismo di Indiana Jones è un elemento costante all’interno dell’intera saga. E sempre valida è la sua battaglia contro ogni forma di dittatura, Potere, ignoranza, fanatismo, bugia.
E’ spiegato così il perché si ritorna al(la metafora del) Nazismo. Una riflessione che può estendere i confini connotativi anche all’eredità di Jones nell’ottica della cultura del nostro tempo.
Il mondo odierno sembra non avere più una bussola, e non ha voglia di scoprire i misteri del proprio passato, dell’esistenza, della propria natura.
Il periodo culturale non è più quello delle generazioni precedenti, si guarda troppo avanti; e le nuove generazioni rifiutano i sani valori eterni e ciò che di buono è stato fatto da quelli che li hanno preceduti. L’eredità di Jones è allora proprio qui, in questo monito alle future generazioni di voler (ri)scoprire, riappropriarsi, perpetrare e preservare un senso dell’etica nella vita sociale che sia rispondente a valori più saggi e virtuosi; una ricerca del “Bene”, della moralità e di un’umanità che si sono sempre più perduti nel tempo…
Anche per questi motivi, è giusta l’ultima avventura di Indiana Jones, perché ha il sapore di un’ultima “crociata” e una bellezza non tanto narrativa quanto concettuale ed espressiva; una valenza non soltanto cinematografica ma soprattutto culturale: l’addio del nostro vulnerabile ma inscalfibile eroe è anche un’eredità di portata culturale lasciata a noi e ai posteri, una finestra contemporaneamente aperta sia sul passato che sul futuro.
Attraverso le emozioni e le riflessioni sul suo eroe, la pellicola collega il Mito e la Storia, l’immaginario fantastico e la realtà, il passato e l’avvenire; ma soprattutto ribadisce l’importanza della ricerca (psicologica, filosofica, spirituale, esistenziale, ecc.), della scoperta di qualcosa di prezioso, della tutela della memoria, come utili e potenti strumenti capaci di farci passare dalla perdizione alla salvezza, dalla non-consapevolezza all’illuminazione…
LA GIACCA, IL CAPPELLO E LA FRUSTA DI INDY – CONSIDERAZIONI FINALI
Nell’evidenziare il valore della conoscenza (in questo caso lo studio, la matematica) il film inoltre rimette al centro il vero spirito che incarnava e incarna tutta la saga, e di conseguenza anche quelle priorità espressive che venivano a sfocarsi travolte dall’abbagliante splendore quasi fumettistico di sequenze e avventure.
Un tassello questo che va a chiudere in modo puntuale il cerchio di un immaginario cinematografico e culturale che dura da 42 anni e il cui Mito, la sua anima fondante, sopravvivrà anche al di là della qualità o meno di quest’ultima opera o di tutti i singoli episodi della saga.
Si, perché questo quinto capitolo potrebbe anche non accontentare tutti o non piacere a tutti (i suoi fan e non), ma sicuramente si farà apprezzare per il tentativo di aver ragionato, seppur a grandi linee, su cos'è stato e cosa sarà Indiana Jones ora che ci sta dicendo addio…
Quest’ultimo aspetto, che mette in evidenza tra le pieghe narrative e tematiche la quintessenza dell’intera saga, è uno dei principali punti di forza che trascende e valorizza “Indiana Jones e il Quadrante del Destino”, e che può compensare di molto i suoi comunque presenti punti di debolezza.
Imperfezioni o difetti che si possono rintracciare ad esempio nell’eccessiva durata del film, nelle lungaggini di alcune sequenze, nelle ripetizioni meccaniche di certe scene d’azione, in una parte centrale che poteva essere sviluppata meglio, in alcuni aspetti narrativi o caratterizzazioni che avrebbero meritato uno spazio maggiore d’approfondimento, e forse anche in un epilogo con meno finali.
A livello di costruzione narrativa e di messinscena poi forse latita di un autentico e un intenso fascino (senso di meraviglia, respiro epico, mistero e trovate originali), magari anche di un approdo ad un nuovo orizzonte situato ben oltre il terreno della già consolidata configurazione dell’intera saga.
Però nonostante ciò, quest’ultimo episodio, che sa muoversi tra nostalgia e vitalità, è comunque in sé molto godibile e apprezzabile.
L'ultimo viaggio, avventuroso ed esistenziale, di Indiana Jones, potrà anche avere a livello filmico limiti, imperfezioni e difetti per come è stato concepito e trattato, ma comunque sa proporci qualcosa che offre emozioni e spunti interessanti su cui riflettere.
Nel complesso la pellicola è un’avventura avvincente che, tra grande spettacolo, ritmo e commozione finale, saluta con rispetto e affetto la saga. E fa riaccendere nel cuore dello spettatore una piccola ma intensa fiammella di quel fanciullesco desiderio di indossare ancora una volta la giacca, il cappello e la frusta di Indy per partire verso nuove avventure…
CURIOSITA’:
1) “Indiana Jones e il Quadrante del Destino” è il primo e unico film della serie a non essere distribuito dalla Paramount, poiché la Disney detiene i diritti in seguito all'acquisizione della Lucasfilm. Ciò rende l’ottantenne Harrison Ford la persona più anziana ad interpretare il ruolo principale in una pellicola Disney battendo, così, il primato di Richard Farnsworth che aveva 79 anni al momento dell'uscita di “Una storia vera” (1999).
2) Il regista James Mangold era originariamente destinato a dirigere un film indipendente su Boba Fett per la Lucasfilm. Quando il terzo capitolo “Star Wars Story” è stato sospeso, Mangold è passato all’altra proprietà più famosa della Lucasfilm, “Indiana Jones 5”.
3) Harrison Ford avrebbe percorso chilometri in bicicletta e passeggiate quotidiane per mettersi in forma e tornare nei panni del suo personaggio. Con Antonio Banderas aveva già lavorato nel film “I Mercenari 3”.
Al festival del cinema di Cannes 2023 ha ricevuto la Palma d’oro d’onore alla carriera.
4) Questa dovrebbe essere l’ultima colonna sonora firmata dal celebre compositore cinque volte Premio Oscar, John Williams, prima dell’annunciato suo ritiro all'età di 91 anni.
5) L’investimento di 300 milioni di dollari (la maggior parte spesa per il ringiovanimento digitale di Harrison Ford), ha reso “Indiana Jones e il Quadrante del Destino” la pellicola più costosa dell’intera saga.
Le location della pellicola includono Regno Unito, Italia (in Sicilia) e Marocco. (Fonte: Wikipedia).
VOTO (in decimi): 7.50
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