Regia di Barbara Kopple, Tom Haneke vedi scheda film
Purtroppo nel nostro paese non sono in molti (faccio specifico riferimento alla nuova generazione) a sapere cosa sia stato di preciso Woodstock. Penso di poter però affermare con certezza che quasi nessuno sia a conoscenza dei suoi rovinosi epigoni.
Ma non è certo solamente in virtù del proprio valore didattico che risplende questo documentario.
Spalancate le porte del nuovo millennio, Barbara Kopple fa un resoconto di ciò che fu e un bilancio dello stato attuale delle cose.
La lucida fotografia che ne scaturisce è tutto fuorché positiva o rassicurante, in quanto ci rende testimoni di un cambiamento deleterio. Il fatto stesso di aver tentato di ripetere l’evento in questione rende noto il carattere fallimentare dell’operazione, perché ciò che accadde in quell’agosto del 1969 fu spontaneo, frutto di una necessità profonda, di sentori comuni.
Nel mostrare le repliche del concerto (che chiamiamo così per convenzione, ma che in realtà fu molto più di questo), la regista vuole rendere evidente come sia per definizione impossibile ripetere un’alchimia, perché quel qualcosa nell’aria è svanito da tempo, e questi Woodstock datati 1994 e 1999 non sono che becere operazioni di marketing imbastite all’insegna del mero sfruttamento economico.
Quindi, così come negli anni ‘60, anche questi più recenti raduni si fanno portavoce di un’epoca: a scorrerci davanti agli occhi è una generazione che, uscita lesa dagli anni’80, si scopre prima di tutto annoiata, per nulla pervasa da quello spirito di condivisione, fraternità e solidarietà reciproca che aveva penetrato i giovani animi di un tempo, ma solo intenzionata a sballarsi, trasgredire e fare quanto più casino possibile.
In quest’ottica, “My Generation” diventa elegia nostalgica di un’epoca dimenticata ma soprattutto tristemente incompresa da chi ha tentato di resuscitarla. Nell’esaltarne l’unicità e l’eccezionalità, il documentario si rivela un atto d’amore e un sentito ringraziamento per tutto ciò che fu Woodstock, esprimendo al contempo una sincera, tacita e legittima preoccupazione per la/le generazione/i a venire (provate a immaginarvi oggi, in questi recentissimi anni, un’ennesima riproposizione dell’evento: una prospettiva da pelle d’oca).
Acuto e nostalgico, questo importantissimo film documenta prima di tutto un crollo irreversibile di valori e ideali, mentre dall’altra parte, celebrando la gloria di un attimo fuggente (quei tre giorni di pace, amore e musica nei quali sono racchiusi un tempo e una generazione al massimo del loro splendore), idolatra il passato elogiandone l’irripetibilità.
Tra i migliori documentari del nuovo millennio.
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