Regia di Louis Malle vedi scheda film
Il cinema, in questo manifesto della nouvelle vague, è un registro narrativo, un canone recitativo, uno stile estetico, una tecnica visiva che favoleggia ad libitum sulla realtà. L’impossibile diviene fantastico, curioso, spiritoso, come in una comica, una caricatura, un cartone animato, laddove l’effetto deformante è un invito ad aguzzare la vista per mettere a fuoco l’originalità del tratto e gustare la genialità della trovata. L’istante passeggero, il tempo morto tra le azioni, la fase di transizione tra due situazioni, che usualmente offre l’occasione di distrarsi e riposare l’occhio, diventa qui lo spiraglio da cui entra furtiva la sorpresa, che sconnette la logica incuneando fulmineamente il paradosso nel breve spazio tra il prima e il dopo. Nelle intenzioni di Louis Malle, lo sguardo dello spettatore non deve adagiarsi su una mera riproduzione del dato reale, ma deve invece partecipare, con uno sforzo di attenzione, all’impegno creativo di chi per lui artisticamente lo reinventa, lo infioretta, lo smeriglia, sottraendo veridicità, ma aggiungendo divertimento; e ne esalta, come in un’opera pittorica, le forme, i colori, il dinamismo, portandone alla luce il recondito contenuto di poesia. La frenesia metropolitana che dà il ritmo a questo film, il linguaggio surreale e buffamente disarticolato, insieme al sogno della piccola Zazie di poter salire su un métro, descrivono un vagheggiamento futurista autoironico, in cui l’elemento dada ha il sorriso birichino dell’infanzia, che ridicolizza, per contrasto, l’impettita seriosità degli adulti. Qui è lo stesso cinema ad essere bambino nell’anima, immerso in una trasognata nostalgia per gli anni dei suoi primi passi, di quando si muoveva goffamente e non aveva ancora imparato a parlare. E dire che nel frattempo ne ha fatta di strada, tanto che ormai ha visto di tutto, in termini di storie, generi, personaggi; perciò adesso può permettersi di estrarre alla rinfusa i tanti ricordi accumulati nel cassetto, per sparpagliarli sul tappeto, e giocarci con la perfida e noncurante superiorità del disincanto. Così la citazione diviene parodia, la rievocazione si fa scherzo, la rassegna si trasforma in carosello, e la riflessione critica prende l’avvio dalla rappresentazione di un mondo capovolto, che si rovescia come una clessidra, rendendo tutto ripetibile, reversibile ed interscambiabile. Tuttavia la distorsione, la variazione, il rimescolamento non intaccano minimamente l’integrità dell’illusione cinematografica, di cui, al contrario, potenziano la suggestione ipnotica, evidenziandone la straordinaria libertà di movimento. Louis Malle riesce, miracolosamente, a strapazzare il cinema lasciandone intatti i modelli più consueti, che si susseguono, nitidi e perfetti, in una vertiginosa giostra antologica, una miscellanea di cliché, un frullato di paradigmi. Zazie nel métro è come una melodia classica, orecchiabile e tradizionale, però ravvivata da un indiavolato arrangiamento, che ne spezza la rotondità armonica, senza con ciò sfibrarne il robusto, intramontabile tessuto musicale.
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