Regia di Baltasar Kormákur vedi scheda film
AL CINEMA
Nelle sale cinematografiche è appena uscito l'ultimo lavoro del regista islandese, spesso coinvolto in produzioni made in Usa, Balthazar Kormakur. La storia si condensa in una sfida tra un padre risoluto a difendere le proprie figlie, ed un leone sopravvissuto alla carneficina dei bracconieri, che ha erroneamente scambiato il primo per il suo più acerrimo nemico.
Il padre vedovo Nate (la star Idris Elba) decide di portare le due figlie, Norah e (Meredith), nei luoghi natii della madre ed ex moglie, defunta prematuramente a causa di una malattia fatale.
Il genitore intende condurre le figlie a compiere un safari, approfittando del fatto di essere molto amico di un solerte guardiano del parco protetto, il biologo Martin Battles (lo interpreta l’attore sudafricano Sharlto Copley), imparentato con la defunta consorte.
Mentre i quattro si radunano in una jeep per raggiungere la località natia della moglie di Nate, in piena savana, la sfortuna vuole che si imbattano nell’unico esemplare di leone capo branco sopravvissuto ad una sanguinosa retata di un gruppo di crudeli bracconieri senza scrupoli.
L’animale, devastato nei sentimenti e fermamente proteso istintivamente a vendicarsi della violenza subita, individua indistintamente l’essere umano come il responsabile dell’eccidio che lo ha reso solo.
Pertanto l’animale scarica tutta la sua rabbia e lo stress accumulato sui quattro sfortunati viaggiatori, che dovranno affrontare la forza e la risolutezza di un essere furbo e potente, oltre che tenace ed assai duro da dissuadere nella sua missione di cieca vendetta.
Per i quattro malcapitati, intrappolati in una jeep che si rivela un avamposto inadatto e troppo fragile per proteggerli dall’attacco del potente felino, si tratterà di lottare fino allo stremo per la sopravvivenza.
La più recente fatica cinematografica del versatile regista islandese Balthazar Kormakur, è incentrata sulla sfida che coinvolge due categorie o specie viventi che si rivelano entrambe come vittime: a tutti gli effetti sia il povero leone, braccato dai cacciatori di frode che gli hanno sterminato il branco, sia la armoniosa famiglia in vacanza, sopraffatta dalla furia incontrollata del povero animale, sono entrambi vittime di una concatenazione di fatti violenti che li inducono a reagire d’istinto per salvarsi la vita, e li spingono ad affrontare emergenze in cui un passo falso può costituire un errore fatale e senza via d’uscita.
Il problema del film è che lo spettatore, strattonato a forza a far da testimone ad una sfida senza tregua tra uomo ed animale, finisce per non sapere più per chi parteggiare.
O meglio, considerato l’effluvio inesauribile di dialoghi fastidiosi e sdolcinati messi in bocca alle due petulanti figlie del protagonista, verrebbe davvero istintivo finire di scegliere la parte del povero leone, devastato nel corpo e negli affetti (od istinti, che di si voglia), ma proteso ad utilizzare ogni residua energia e forma di astuzia istintiva per portare a termine la sua missione di vendetta.
In Beast è la sceneggiatura che proprio non funziona: i dialoghi risultano forzati e spesso sopra le righe, per non dire snervanti e leziosi, fino a produrre il risultato spiacevole di riuscire quasi a smorzare tutta la tensione che sarebbe lecito aspettarsi in una pellicola del genere.
Inoltre le sin troppo artificiali impalcature scenografiche utilizzate come sfondo, e la fotografia patinata che rende la savana notturna quasi alla stregua di un locale da pianobar a sfondo esotico, non aiutano il film a risultare accattivante, né a convincersi di aver di fronte un thriller da cardiopalma.
Quanto al povero leone, fintissimo certo, ma più credibile di quello ovattato di Narnia grazie alla naturale evoluzione della grafica computerizzata conquistata in questo ultimo decennio, nonostante l’aspetto decisamente poco rassicurante, finisce per risultare decisamente più empatico di molti altri nemici designati dell’uomo appartenenti al regno animale.
Basti pensare ad uno dei più noti ed implacabili, come è senz’altro lo squalo spielberghiano.
Il merito di tutto ciò è tuttavia decisamente più collegato alla specie in questione, ovvero il re dei felini, che umanamente sprigiona, grazie alla sua bellezza e possanza, inevitabilmente più empatia e solidarietà rispetto ad un pesce famelico quanto decisamente meno espressivo per indole e capacità empatiche.
Il gran finale, con i leoni buoni che intervengono provvidenzialmente ed a sorpresa, non fa che confermare tutti i dubbi già espressi su un thriller manierato che non decolla mai veramente, e si concede troppo servilmente alle ragioni di una facile presa emotiva da svendere a favore di spettatori predisposti od assuefatti ad un sin troppo facile intreccio narrativo.
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