Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film
Di fronte ad un dolore forte si possono presentare differenti modi di reagire. Un ventaglio molto ampio di comportamenti e atteggiamenti, esterni e interiori, si apre e nessuno dall’esterno, può entrare nel merito di tali reazioni.
Una delle reazioni possibili è quella di far finta di niente, continuare a vivere senza porsi tante domande sull’accaduto, usando le giornate come contenitori di ore da riempire con un’agenda fitta d’impegni.
“Ritorno a casa” di M. Oliveira (2001) indaga a fondo e mostra con precisione chirurgica, le conseguenze cui può andare incontro chi sceglie proprio tale strada.
E’ un film con poca azione e pochi dialoghi, la camera quasi sempre fissa sulle scene e i dettagli (scarpe, pezzi di monumenti e strade), apparentemente senza significato.
L’evento tragico che è alla base della narrazione, è soltanto accennato con poche, frettolose parole e poi dimenticato, così come vuole fare con le proprie emozioni, il protagonista che ne è stato colpito in prima persona.
Nonostante questo però, (e qui sta la particolarità e il valore del film, secondo me) resta sempre al centro dell’attenzione dello spettatore.
Chi guarda non dimentica mai “il fatto” e tutti gli stratagemmi usati dal regista (che ricalcano il pensiero del protagonista) per distrarre (dialoghi sereni, scene di quotidiana allegria, immagini piene di luce, senso di compiutezza nel lavoro), cadono nel vuoto o gli girano intorno.
Ci si aspetta da un momento all’altro, uno scoppio, un urlo improvviso, un temporale, un attimo di verità.
“Io sono stanco e me ne torno a casa”
Eccolo l’attimo, il lampo di luce che sconquassa la tenue rassegnazione e le maschere indossate di volta in volta dall’uomo/attore che fugge da se stesso, quando è troppo tardi rispetto alla possibilità di elaborare e superare il lutto.
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