Regia di Mary Harron vedi scheda film
Molto rumore per nulla: si ritenta il colpo dello scandalo annunciato, della pubblica indignazione, che aveva riempito le sale per “Hannibal”, ma la versione cinematografica di “American Psycho”, dal libro chiacchieratissimo del 1992 di Bret Easton Ellis, non fa scalpore. Becca un divieto ai minori di 14 anni, motivato da un’unica scena, più che violenta, “insanguinata”: dove cioè si vedono solo le conseguenze dei molti omicidi perpetrati dall’insospettabile protagonista, mai gli atti, che la regista tiene per tutto il film accuratamente (e giustamente) fuori campo. Mary Harron (esordiente nel 1996 con “Ho sparato a Andy Warhol”) individua cioè la chiave giusta per questa saga del sangue e dell’aridità (o degli unici due sentimenti definibili del protagonista, come dice lui: avidità e disgusto): rarefazione massima, ironia costante, nessuna partecipazione emotiva alla follia, già conclamata, del suo personaggio. Che sembra un Big Jim serial killer, salutista sfrenato e noioso con quell’unico “vizietto” dell’omicidio. Peccato che le scene migliori (come l’esibizione delle carte di credito e lo scontro a colpi di biglietti da visita) debbano poi cedere il passo al thriller, che la Harron non padroneggia. Come se, preoccupata, avesse tenuto il materiale sotto un controllo strenuo ed eccessivo.
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