Regia di Joseph Kosinski vedi scheda film
Emozioni e comportamenti, volontà e costrizioni. In un mondo reale che vede una costante erosione del contatto umano a vantaggio delle iterazioni virtuali, i freni inibitori hanno spesso e volentieri il sopravvento sull’esternazione dei sentimenti, anche di quelle pulsioni insite negli istinti primari – positivi o negativi che siano - da sempre caratterizzanti l’essenza della vita.
Insomma, ci stiamo lentamente – forse nemmeno troppo – spegnendo e non sarebbe poi così assurdo pensare che qualcuno dietro le quinte stia studiando un metodo per svegliarci dal torpore, ovviamente con finalità che poco hanno a che vedere con il sostegno del benessere comune, più vicine alla realizzazione individuale di ambizioni smisurate, di un ego traboccante.
Questo è in buona percentuale il motore fondante di Spiderhead, un film che dapprima intriga, poi mostra segni di precoce stanchezza nell’alimentazione del suo sviluppo e infine si adegua a un più omologato e diffuso modus operandi, che si accontenta di proporre soluzioni a buon mercato, finendo per diffondere tanto fumo e sfornare poco arrosto.
Jeff (Miles Teller – Whiplash, Trafficanti) è un detenuto che ha accettato di partecipare a un programma sperimentale stilato e condotto da Steve Abnesti (Chris Hemsworth – Thor: Love and thunder, Blackhat), uno scienziato che opera presso una struttura dedicata, da lui stesso comandata in totale autonomia, coadiuvato dal suo collaboratore Mark (Mark Paguio – The twelve).
Qui, Jeff riceve delle iniezioni di una sostanza chiamata N-40 che, in base ai dosaggi, modifica il comportamento abbattendo la barriera eretta dalla volontà personale, trovando conforto nel tempo libero confidandosi con Lizzy (Jurnee Smollett – Birds of prey, The great debaters).
Quando capisce di essere in pericolo, di doversi liberare dalla morsa sempre più oppressiva di Steve, che continua ad alzare il tiro delle sue sperimentazioni, Jeff organizza un piano di fuga, che ovviamente contempla la presenza di Lizzy al suo fianco.
Adattato dal racconto breve Escape from Spiderhead di George Saunders per mano di Rhett Reese e Paul Wernick, esplosi con Deadpool e subito rientrati nei ranghi con tutti i lavori successivi (il derivativo Life – Non oltrepassare il limite, gli accumuli di Zombieland – Doppio colpo e le fragorose rocambole di 6 Underground), Spiderhead mette subito in mostra la principale mercanzia di cui dispone, imbastendo un pannello di controllo che predilige il cinema di genere in coabitazione con un’estetica concettuale e un’intrinseca critica alla spregiudicata libertà concessa a chi tenta di manipolare la natura umana per orientarne il futuro.
Da un certo punto di vista, con tutte le variazioni del caso e senza farne un mantra ossessivo, il materiale di partenza mette il dito nella piaga aperta dalle manie di gigantismo, dove a fronte di orizzonti lastricati di successo (economico/scientifico/popolare), gli scarti sociali sono agnelli sacrificali e le regole risultano plasmabili a seconda della specifica occorrenza.
Al contempo, perde gradualmente la forza propulsiva e sposta il suo asse sul singolo individuo (nel nome del tridente composto da libertà, amore e fuga dalle brutture del mondo), snocciolando alcune scelte visive (inserti sottolineati con evidenziazioni macroscopiche) e ritmiche (cambi di passo) gustose e stimolanti, che si alternano a fasi di stanca contraddistinte da ridondanze e riempimenti.
Così, tra elementi trainanti e addendi trainati, l’elaborazione tende a perdere smalto, a omologarsi, con le singole contingenze assortite con crescente pigrizia, rivelandosi per giunta troppo prevedibile e culminando in un finale che sfodera un’accelerazione decisamente dinamica, abbinata con una morale appiccicata, declamata con orpelli vari.
Infine, passando ai protagonisti, Chris Hemsworth ripone - temporaneamente - la sua divisa da supereroe (Thor) e la sua vistosa fisicità (Tyler Rake) nell’armadio decifrando uno scienziato fuori dalla norma, mentre Miles Teller ci mette tutto l’ardore di cui dispone, penalizzato dall’inerzia che demarca il film diretto da Joseph Kosinski (Tron Legacy, Oblivion) che, per gli scherzi del destino, ha visto uscire Spiderhead a rimorchio del clamoroso e galvanizzante successo ottenuto da Top Gun: Maverick, nonostante le due produzioni siano state approntate in periodi distanti (da novembre 2020 per il primo e dal 31 maggio 2018 per il film fortemente voluto e protetto da Tom Cruise).
In buona sostanza, Spiderhead è un prodotto trascurabile, destinato a disperdersi all’interno dello smisurato catalogo di Netflix. Getta la maschera anzitempo ma ha sbocchi circoscritti, fa aggiunte in corso d’opera al suo perimetro ma tende a declassarsi con le sue stesse mani, appone strati di vernice sul suo tessuto, rischiando di rimanere con un pugno di mosche in mano, con un costrutto tremendamente limitato e una performance tutto sommato modesta, nonostante un testo e un sottotesto ricchi di opportunità che infatti, tra etica e storture, libero arbitrio e colpe, prerogative e disfunzioni, bolle e sfoghi, avrebbero meritato tutt’altro trattamento.
Stuzzicante e sgualcito, aleatorio e traballante.
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