Julia, maga e mammana, è abbandonata dal marito per sposare la figlia del guappo del quartiere. Questi le intima di andarsene l'indomani, giorno fissato per le nozze, e di lasciare i figli al marito. La tragedia sarà inveitabile.
Note
Il film è una sorta di telenovela brechtiana, girata in interni. Da confrontare con von Trier: anche qui video e camera a mano, ma invece di giocare col musical Ripstein si tuffa nella sceneggiata, in un grand guignol latino, e ne emerge continuamente per chiedere allo spettatore che cosa sta guardando (si intravede la troupe allo specchio e gli attori si rivolgono alla macchina da presa, mentre i mariachi escono dallo schermo televisivo con scorno dei mezzibusti). È la lezione del Buñuel messicano, quello che avrebbe voluto mettere orchestre surreali sullo sfondo di "Los Olvidados". In un progetto che rischiava l'intellettualismo, Ripstein riesce per virtù di coerenza e radicalità (che significa anche fedeltà delle radici), ma soprattutto per amore dei personaggi (che è anche rispetto degli spettatori). Anche se la prima cosa che colpisce lo spettatore, e gli rovina la visione del film fino all'ultimo, è il doppiaggio eccessivamente ripulito nella versione italiana.
Medea in un cortile di case popolari, in Messico. Julia, maga e mammana, è abbandonata dal marito per sposare la figlia del guappo di quartiere. Questi le intima di andarsene l’indomani, giorno fissato per le nozze, e di lasciare i figli al marito. La tragedia sarà inevitabile. Il film è una sorta di telenovela brechtiana, girata in digitale, in cui i monologhi corrispondono a implacabili… leggi tutto
Una rivisitazione del mito di Medea presumibilmente, seppur riproposta in chiave smaccatamente grandguignolesca. Per essere più precisi, un affresco virato al rosso di un’atavica violenza memore degli innumerevoli tributi di sangue pagati dalla martoriata terra messicana in nome di aneliti di libertà a lungo calpestati da fantomatici libertadores al suono di “Arriba la revolucion!”… leggi tutto
Una rivisitazione del mito di Medea presumibilmente, seppur riproposta in chiave smaccatamente grandguignolesca. Per essere più precisi, un affresco virato al rosso di un’atavica violenza memore degli innumerevoli tributi di sangue pagati dalla martoriata terra messicana in nome di aneliti di libertà a lungo calpestati da fantomatici libertadores al suono di “Arriba la revolucion!”…
Medea in un cortile di case popolari, in Messico. Julia, maga e mammana, è abbandonata dal marito per sposare la figlia del guappo di quartiere. Questi le intima di andarsene l’indomani, giorno fissato per le nozze, e di lasciare i figli al marito. La tragedia sarà inevitabile. Il film è una sorta di telenovela brechtiana, girata in digitale, in cui i monologhi corrispondono a implacabili…
Tutti film di sguardo e non di scrittura, non di racconto. E tutti film di morte e di fine, comunque. (Come gli esclusi che chiedono vendetta: Ang Lee, Rohmer, “Canicola”…)
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