Regia di Rodrigo Sorogoyen vedi scheda film
Uomini e bestie, più bestie che uomini. Nella campagna galiziana ci ritroviamo testimoni di un’ostilità e di un’inquietudine che cresce e si ramifica nei personaggi, quelli di una famiglia francese (Antoine e Olga Denis), trasferitisi in quei luoghi da poco tempo e quelli appartenenti ad un’altra famiglia (Xan e Lorenzo Anta, fratelli) che invece, da quelle parti, ci hanno sempre vissuto.
Questo astio che diverrà un vero e proprio scontro ha le sue radici in due visioni apertamente opposte e forse inconciliabili della ruralità. La coppia francese, torna alla vita contadina, dopo aver lasciato quella precedente (borghese e istruita) e vede in questa esistenza la possibilità di un progetto che fondi l’agricoltura sostenibile con un riavvicinamento ai ritmi della natura e ai suoi cicli. Mentre i due fratelli che si occupano principalmente di bestiame vorrebbero solo farla finita con la miseria di questo mondo in cui si sentono intrappolati da quando sono nati, tra letame, mucche e sbronze notturne al bar locale. Il motivo del dissidio nascerà quando una compagnia eolica offrirà dei soldi per costruire delle turbine sui loro terreni e la coppia francese si opporrà, inimicandosi così i due fratelli.
Partendo da questi presupposti narrativi, tra l’alto basati su un fatto di cronaca abbastanza simile realmente accaduto, Rodrigo Sorgoyen costruisce un thriller psicologico che adotta i lenti ritmi della vita di campagna, trasformandone gli apparenti elementi idilliaci in continue fonti di suspense e tensione. Si gioca tutto sulla possibilità che qualcosa di normalmente innocuo possa diventare pericoloso, che le persone sprigionino violenza all’improvviso, che uno sguardo inneschi una tremenda reazione, che l’incomprensione divenga puro odio.
La pellicola si forma intorno al modo in cui il regista ci mostra la quotidianità, seguendo i personaggi nelle loro azioni, negli spostamenti, usando l’inquadratura (e il fuori campo) come strumenti per ricordarci che il cinema, come strumento narrativo, è presente. E se non bastasse anche Antoine si comprerà una piccola videocamera per filmare le costanti aggressioni verbali, psicologiche e a volte fisiche dei due fratelli, come se l’immagine possa essere una testimonianza più forte della sue parole, visto che i suoi appelli alla Guardi Civil (di risolvere la sua situazione) sono rimasti inascoltati. Poi ci sono alcuni lunghi piani sequenza per farci invece immergere nel sospetto, nell’ansia di dialoghi e conversazioni sempre sul punto della disfatta comunicativa e del sopravvento emotivo sulle parole.
Il film trova poi il suo improvviso cambiamento proprio quando Antoine scompare e non si sa che fine abbia fatto, anche se lo spettatore può subito intuirlo. L’incastro del thriller si smonta e l’attenzione del regista si sposta ad osservare il mondo femminile, le reazioni di Olga, ormai rimasta sola e lo scontro materno e generazionale con la figlia Marie, arrivata da lei con l’intenzione di aiutarla e di portarla via.
As bestas (l’originale è parlato in catalano, galiziano e francese) riesce a cogliere un malessere costante, il turbamento che si trasforma in paura e ci restituisce l’immagine ultima (o prima, visto che è anche la locandina del film) della lotta per la sopravvivenza, di quel singolo respiro che può significare la vita oppure la morte.
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