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Monstrous

Regia di Chris Sivertson vedi scheda film

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La recensione su Monstrous

di mck
6 stelle

LauraVision.

 

 

Tutto già visto/fritto, rivisto/rifritto e stravisto/strafritto (ma si sa: qualsiasi cosa, se la friggi, diventa commestibile) in questo “Monstrous”, una sorta di semi-“BabaDook” innestato s’un dispositivo à la “WandaVision”, girato da Chris Sivertson (entrambi - 2001 e 2013 - gli “All CheerLeaders Die” scritti e diretti con Lucky McKee), sceneggiato da Carol Chrest (esordiente in “the Prophet’s Game”, 1999, di David Worth e con Dennis Hopper) e avente come protagonista una sempre brava Christina Ricci (the Ice Storm, Buffalo ‘66, Fear and Loathing in Las Vegas, Pecker, Sleepy Hollow, AnyThing Else, Black Snake Moan, Lizzie Borden Took an Axe, The Lizzie Borden Chronicles, Z: the Beginning of Everything, YellowJackets), qui affiancata dal giovanissimo (“the Kids Are Alright”, “Penny Dreadful: City of Angels”) Santino Barnard (ch’è un po’ come chiamarsi Immaginetto Veronesi: ah-ah, fa ridere perché lo sto prendendo in giro per il nome) nel ruolo di sparring partner (ancora sensibilmente acerbo, ma abbastanza funzionale al compito affidatogli per questo lavoro). Piccola parte odiosa per Colleen Camp (che qui ricopre anche il ruolo di una fra le 52 - cinquantadue - carte del mazzo dei produttori dell’opera in esame: esecutivi, come nel caso in questione, e “sgancianti”, capeggiati da Robert Yocum, colui che già al tempo finanziò la realizzazione del succitato copione di debutto della summenzionata autrice dello script di “Monstrous”).

 


Fotografia di Senda Bonnet (“Grief”, “Closure”, “Chariot”), montaggio di Anjoum Agrama (sodale collaboratrice di Mercedes Bryce Morgan), scenografia di Mars Feehery, costumi di Morgan DeGroff e musiche di Tim Rutili (“the Evening Hour”), più “See You Later, Alligator (Robert “BobbyCharles Guidry / Bill Haley and His Comets), “Mr. SandMan” (Francis Drake “PatBallard / the Chordettes), “EveryDay” e “True Love Ways” [Charles Hardin “BuddyHoll(e)y & Norman Petty].

 


Interessante poi l’utilizzo della “Katchi” di Nick Waterhouse (la versione originale, non il remix degli Ofenbach in featuring) in un momento “rivelatorio”: “pur” essendo rockabilly e doo-wop, è una canzone contemporanea, “vecchia” solo di un lustro.

 


Ed infine, la durata di 85’ effettivi, esclusi titoli di testa e di coda, aiuta.

(**¾) *** - 5.875   

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