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Barbie

Regia di Greta Gerwig vedi scheda film

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La recensione su Barbie

di kubritch
1 stelle

 

Resistenza alle sirene della Barbie mania: 5 mesi e mezzo. Dobbiamo o non dobbiamo decondizionarci; decogestionarci il cervello? Finché le nostre reazioni saranno prevedibili, vinceranno loro: i burattinai dell'immaginario collettivo. Un film su Barbie non può che essere un'operazione di marketing, studiata a puntino per incrementare le vendite di un prodotto che è uno dei simboli del mercato USA, nonché del suo modello sociale. Non bisogna farsi imbambolare - è proprio il caso di dire. La tanto osannata critica ai costumi sociali è solo un pretesto promozionale; un fine secondario. Il film ha la funzione di convertire il significato simbolico della bambola per adeguarla a tempi in cui la donna non è più quella del passato, per cui la Barbie ha perso il suo potere di fascinazione presso il suo target di consumatori: le bambine. Siamo nella scia dei film Lego, un gioco che già da bambino mi sembrava insignificante, figuriamoci in forma cinematografica. Si chiama media franchise. Negli USA, l'immagine della società che risulta dai serial e dai film, è plastificta esattamente come il mondo di Barbie. Esuberanza, edonismo, intraprendenza, ottimismo coatto, umorismo demenziale fine a se stesso e caterve di romanticherie e sentimentalimi. Questo è, sic et simpliciter, il cuore della propaganda capitalista a stelleestrisce. Pensiamo ai super celebrati serial come "Friends" o " Sex and the city", dove la realtà è ripiegata su se stessa mentre il resto del mondo risulta come un'estensione, una coda trascurabile. Dietro c'è un senso egoistico, artificioso di felicità. In USA pensano davvero, alla realtà in questo modo, nei termini suggeriti dai mass media. La realtà dei fatti è ben diversa: senzatetto a frotte, niente sanità pubblica, popolazione prima al mondo per numero di obesi e, dunque, diabetici (vedi The Whale), terrorismo di concittadini che si trasformano in mass-murderers; propaganda militarista. È una nazione che si mantiene con il business delle guerre che scatena nel mondo.

Il fatto che il film di Barbie si rivolga a tutte le fasce di età, vuol dire che resta in superficie su un tema capitale quale il rapporto tra i sessi. In fondo i bambolotti sono asessuati e ciò favorisce un racconto edulcorato, proficuo per il rendimento al box-office, perciò falso, una visione infantilizzata della realtà. È una tragedia per le case di produzione quando il film viene bollato non adatto ai minori. I bambini rappresentano il pubblico più vulnerabile alle lusinghe della propaganda. Il loro cervello è più duttile alla programmazione, che corrisponde ad un rischio di disturbi mentali, proporzionale all'attrito che la realtà oppone al soggetto, quindi alla classe sociale di appartenenza. In Eyes Wide Shut sul finale è significativa la presenza di una Barbie vestita come la bambina all'inizio del film, la fata confetto dello Schiaccianoci, (uomini bambole o manichini è un topos dei film di Kubrick) assieme ad un'altra con le fattezze di Marilyn in Gli uomini preferiscono le bionde.  

Dal trailer si capisce che la trama del film è sviluppata intorno ad un atto di ribellione verso il mondo ovattato in cui la bambola, miracolosamente animata (tipo Eva), vive, ad imitazione del film Truman Show. Ho notato che c'è una citazione parodistica anche a Matrix, dove al posto delle pillole ci sono in una mano una scarpetta col tacco e nell'altra un sandalaccio marrone (la vie en rose e la vie en marron de la realitè). Il discorso sotteso è chiaro. Inoltre, c'è un rimando anche alla fiaba di Peter Pan in fuga dall'Isola che non c'è. Si narra proprio di una rivolta alla condizione del paradiso. Nella realtà, è un essere umano a trasferire, come un dio, nella bambola il suo mondo interiore, le sue fantasie più recondite e personali. In ciò consiste il bello del gioco. Al contrario, nel film abbiamo la rappresentazione studiata al nanometro di un immaginario medio omologato, in grado di accontentare la maggioranza della gente; quindi il massimo dell'astrazione e della spersonalizzazione. In pratica, dietro alle maschere c'è nessuno, il nulla, o meglio, il mercato. 

Barbie, nella sua avventura di avanscoperta, è accompagnata dal suo storico compagno con cui ha una relazione indefinibile secondo i parametri umani, né sessuale, né platonica. Come nella narrazione teologica è sempre Eva a corrompere Adamo Ken, che a contatto con la dimensione umana, al di fuori dell'Eden, finirà per incattivirsi. Nelle immagini promozionali ho notato che Barbie reagisce ad una mano morta, mollando un ceffone al maleducato. Il che mi sembra abbastanza implausibile data la totale ignoranza dell'umanità e dei suoi codici di comunicazione. È un'incongruenza narrativa e sospetto che non sia l'unica. Il mondo di Barbie non dovrebbe essere abitato dalla rabbia. Vuol dire che lo sceneggiatore si è preoccupato più di comunicare un messaggio adeguato al pubblico, che di rispettare rigorosamente le caratteristiche basilari della fiaba. Non potevano farne a meno? Suppongo che servisse più che altro, ad aggiungere un effetto comico. La commedia, dunque, se da un lato è un registro necessario, trattandosi di una storia al di fuori dell'ordinario, dall'altro, è un puro espediente accessorio per garantirsi la simpatia dello spettatore. Questo perché lo scopo principale resta il successo commerciale. Si pensa a torto che la commedia, come il genere fantastico, sia totalmente libera dal valore della necessità, dell'essenzialità.     

È chiaro che, date le premesse, la soluzione finale sarà stata concepita in modo tale da non risultare scioccante, destabilizzante, alternativa allo status quo della società dei consumi. Non penso che la regista Greta Gerwig si sia ispirata alle commedie irriverenti e immorali di John Waters. Allora sì che sarei andato di corsa al cinema. Presumo che la coppia ritorni, non prima di aver affrontato una prova rocambolesca zeppa di effetti speciali, all'ovile, nell'originario recinto paradisiaco (Paradiso significa proprio giardino recintato), forte di una consapevolezza rinnovata, corretta grazie all'esperienza fatta e, forse, trasmessa agli altri abitandi di Barbielandia. Non può mancare un indirizzo moralistico in un film del genere .   

Inutile dire che il film deve la sua forza, soprattutto, alla confezione di lusso di cui è capace l'industria statunitense. Tanto per esempio, ho visto che ad un certo punto Barbie va fuori strada mentre sta guidando la sua macchina giocattolo, ma non lo fa normalmente; si vede l'auto volteggiare nell'aria producendo simpatiche nuvolette per poi, atterrare morbidamente al suolo. Pura esibizione del denaro. È una risoluzione superflua, eccessiva e dunque, di cattivo gusto, come solo sa essere l'attuale classe alto borghese americana, ancora più di quella passata. Per questo il marchio della Mattel campeggia nei titoli. Il resto del merito va attribuito al fatto che i papà, come raramente accade, saranno stati ben lieti di accompagnare le figlie al cinema. In fin dei conti, il film rispetta l'immaginario dei porno dedicati ai maschi, in cui le donne somigliano a vere e proprie bambole, con outfit e trucco stravaganti, fuori dalla realtà. Un tipo di donna normale fa pensare a mogli e madri e non va bene, perché le due realtà devono essere separate per evitare scrupoli di coscienza. 

Mi chiedo: il grande pubblico, ancora, non ha preso coscienza, dopo decenni di industria hollywoodiana, che gli studios  tendono a ripetere pedissequamente sempre il medesimo schema narrativo, fino alla nausea? In sostanza, è sempre lo stesso prodotto cinematografico; cambiano solo l'aspetto esteriore, i nomi, le ambientazioni.   

 

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