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Barbie

Regia di Greta Gerwig vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Barbie

di YellowBastard
5 stelle

Quello che il film non dice è che la bambola Barbie è nata come un’imitazione.

La “vera” Barbie fu infatti una bambola per adulti prodotta nel 1955 in Germania da Greiner & Hausser con il nome di Bild Lilli ispirandosi all’omonimo personaggio di una disinibita “escort” protagonista di vignette satiriche pubblicate sulla Bild.

 

Meet Lilli, the High-end German Call Girl Who Became Barbie

 

Ruth Handler, “inventrice” della Barbie (morta nel 2002 è impersonata nella pellicola da Rhea Perlman), né riportò in America tre esemplari dopo un viaggio in Europa e le fece spudoratamente copiare dalla Mattel, che per questa fu anche accusata di plagio in una battaglia legale che si concluse soltanto nel 1964, quando il colosso americano comprò il brevetto della Bild Lilli per “soli” 216.000 dollari.

 

The Risqué German Cartoon Character Who Morphed Into The Iconic Barbie Doll

 

Il segreto del successo di Barbie? Probabilmente dovuto all’idea vincente (ma all’epoca anche molto controversa) di proporre un modello di femminilità molto sensuale (o sessuale?) a delle bambine e (soprattutto?) a un’innovativa strategia di marketing, sfruttando per la prima volta in modo massiccio la promozione attraverso spot televisivi e, al contempo, proponendo tutta una serie di gadget, vestiti e diversi accessori, con possibilità di vendita praticamente illimitate, da abbinare al prodotto principale. 

 

Il risultato è stato che Barbie è diventata uno dei giocattoli più venduti della storia nonché la bambola più celebre e conosciuta al mondo, creando un vero e proprio impero finanziario (la Mattel è la più importante multinazionale di giocattoli al mondo dopo la Lego) generando, tra giocattoli e merchandise, un affare pari a qualcosa come 33 milioni di dollari.

Poi, ovviamente, ci sono stati anche libri, romanzi, fumetti e videogiochi e al cinema (o in home video) era già apparsa innumerevoli volte ma sempre in versione animata.

Era quindi solo questione di tempo prima che venisse realizzata anche un film in carne e ossa.

E quando la Warner Bros. annunciò un film di Barbie l’idea di un live action su una bambola essenzialmente per bambine non prometteva niente di appetibile per un pubblico generalista e furono così in molti a non prendere troppo seriamente la cosa.

Evidentemente, a torto.

 

Perché Barbie, pellicola diretta da Grata Gerwing e da lei sceneggiata insieme al marito Noah Baumbach, in realtà non parla affatto della bambola Barbie (e la Mattel, produttrice della pellicola e con una presenza anche più invadente e maggiore della stessa Warner Bros., probabilmente è ben contenta di questo) ma si prodiga invece in tutt’altra direzione, tra rivendicazioni e temi importanti e “impegnativi” (la società patriarcale, il capitalismo, la sessualizzazione del corpo femminile, la lotta tra i sessi, l’inclusività), anche in modo alquanto discutibile.

 

Il look retrò bianco e blu di Margot Robbie nel film di Barbie.

 

Già evento cinematografico globale, con un week-end negli Stati Uniti di oltre 150 milioni di dollari nonostante l’uscita contemporanea di un altro blockbuster attesissimo come l’Oppenheimer di Christopher Nolan, Barbie, costato 145 milioni di dollari e almeno altri 100 per il marketing, è un film profondamente commerciale ma anche insolitamente anticonvenzionale, che cerca, seppur abbia certamente l’obiettivo di promuovere il marchio Barbie, di incrociare lo spirito provocatoriamente indie della coppia Greta Gerwig & Noah Baumbach abbracciando contemporaneamente i movimenti femministi e l’onda lunga del “Me Too” (e quale promozione migliore di questa ad oggi in America), pur rivolgendole le stesse critiche sollevate negli anni dalle femministe di tutto il mondo ma ribaltandole e cercando al contrario di promuoverla invece come nuova “icona” femminista, facendo guadagnare in quando prodotto promozionale milioni di dollari alla Mattel ma al contempo cercando paradossalmente di essere anche film “d’autore”, ibridando uno spettacolo ludico visivamente ingegnoso e fantasmagoricamente colorato, soprattutto di rosa, con un’energica e combattiva riflessione sulla società contemporanea partendo proprio dalla bambola più venduta al mondo.

 

Barbie cerca così di svestirsi dei suoi stereotipi e di un controverso ideale di perfezione ormai logoro trasformandosi da bambola e da (pre)concetto maschilista, in quanto modello inarrivabile destinato a minare l’autostima femminile e a perpetuare stereotipi utili al patriarcato non esitando a definirla anche come giocattolo fascista (e viste le origini perché non nazista?), a simbolo femminista e quindi, in un’ulteriore progressione, a donna vera e propria alle prese (purtroppo per lei) con una società profondamente iniqua (e con le mestruazioni).

 

Barbie è un prodotto di intrattenimento che cerca di offrire moltissimi spunti di riflessione ma anche in modo superficiale e sciocco, a volte, lottando contro pregiudizi e stereotipi ma creandone di nuovi a sua volta.

Vorrebbe essere un film sulla libertà, anche di evadere proprio dagli stereotipi, ma è privo di equilibrio e/o di quella giusta consapevolezza capace di andare oltre al maschilismo e femminismo mentre in Barbie tutto si riduce esclusivamente a questo.

E al netto di qualche risata e un world building giocosamente riuscito, Barbie è sostanzialmente una gigantesca paternale di femminismo militante.

Non particolarmente riuscita, tra l’altro, in quanto è proprio la sua satira sociale a essere la parte più problematica del film.

 

Occhiali da sole ispirati ai migliori outfit del film di Barbie

 

Questo perché è l’idea stessa del patriarcato a creare dissonanza cognitiva in quanto da un lato lo si reputa divulgatrice, anche giustamente, di standard irrealistici, consumistici e sessualizzanti e di dominio del maschio sulla femmina mentre dall’altro nel mondo che ha creato (Barbieland), anche come veicolo di tale ideologia, gli organi sessuali non esistono (e la sessualità quindi non è nemmeno contemplata), il controllo e il potere è ad esclusivo appannaggio delle Berbie mentre i Ken sono semplici accessori, non autonomi rispetto alle Barbie e asserviti ai bisogni di quest’ultime, non hanno lavoro (ne nessuna capacità che gli permetta di trovarlo e quindi di valorizzarsi autonomamente) e nemmeno una casa in cui vivere, la loro intera esistenza e subordinata alle Barbie.

Qualcosa non torna.

E se invertiamo invece il processo e Barbieland si rivelasse al contrario il modello ideale di una qualche ideologia femminista militante, davvero qualcuno crede con solo le donne al comando sarebbe automaticamente un mondo migliore?

Ed è davvero questo il messaggio poi che il film vuole promuovere?

Sta qui la fragilità di fondo dell’intero impianto narrativo. Tutto è o bianco o nero. Senza sfumature.

 

E quindi, improvvisamente, ecco che Ken diventa il nemico (e dopo aver letto dei libri che proponevano una realtà diversa nella quale affrancarsi e non essere più sottomesso/sfruttato da altri. Premessa inquietante, addirittura fascista, che agli autori deve essere sfuggita, spero) e Barbie diventa un film dove i villain sono i maschi.

Non perché oggettivamente facciano qualcosa di terribile ma semplicemente perché tali.

 

Gli uomini del film d’altronde sono estremamente semplici (o stupidi?), vogliono contare qualcosa perché celatamente insicuri e vogliono quindi essere apprezzati, pur non sapendo fare niente, e come entrano facilmente in competizione tra loro anche per i più futili dei motivi altrettanto facilmente tornano solidali.

In particolare, il Ken di Ryan Gosling con la sua adorabile irrilevanza, “friendzonato” ad oltranza e costantemente lasciato ai margini, quando intravede la possibilità di contare finalmente qualcosa, sublimandosi da modello della mascolinità fragile in quella della mascolinità più tossica secondo la più classica generalizzazione misandrica, si trasforma in un “mostro” da combattere e da distruggere.

Ma ogni volta che la denuncia diventa troppo irruenta, arriva una gag, una battuta o una situazione esilarante a mitigarla, come a suggerire di come sia soltanto uno scherzo.

 

Barbie, il film ha totalizzato incassi per un miliardo di dollari -  Multiplayer.it

 

Inoltre, in Barbie la dinamica (o sarebbe meglio dire guerra?) tra maschio e femmina è talmente centrale da escludere qualsiasi altra cosa, e se la differenziazione etnica è praticamente ovunque a mancare, nonostante la presenza dell’attrice trans Hari Nef, è invece la componente queer (forse per l’impossibilità di incasellarla in uno degli schieramenti?), gli individui di sesso femminile o maschile sono apparentemente tutti etero (per quanto sia possibile appurare, ovviamente) e/o metrosexual con l’unica eccezione forse, di Allan (Michael Cera), di cui viene suggerita (ma solo suggerita) l’omosessualità ma non viene comunque contemplata una qualche storia d’amore, eterosessuale o non, per non parlare poi della maternità (messa in un angolo in quanto ritenuta irrilevante se non addirittura nociva all’autodeterminazione femminile),ma non vedremo mai neppure un qualsiasi genere di conflitto o di acredine tra una Barbie è l’altra in quanto viene continuamente ribadito che l’unico, vero nemico è sempre e comunque l’uomo.

Non è un caso che la BBC ha definito la pellicola come “An anti-man movie” ovvero “un film anti-uomo”. Praticamente come una mina.

 

La conseguenza di una tale lettura ovviamente è che non sono affatto le bambine il pubblico di riferimento del film (negli Stati Uniti il film è addirittura sconsigliato ai minori di 13 anni) e, seppur opera costruita per un pubblico il più generalista possibile, è destinata prevalentemente a un pubblico adulto.

 

Barbie Ken GIF - Barbie Ken Margot Robbie - Discover & Share GIFs

 

Evidente poi l’influenza negli sceneggiatori del celebre libro del 1972 di Ira Lewin, The Stepford Wives, conosciuto in Italia come La fabbrica delle mogli, un fanta-thriller anche di stampo satirico che denunciava il desiderio represso (ma neanche troppo) degli uomini di vivere accanto a delle mogli sottomesse.

Già autore di Rosemary’s Baby, e in questo caso il bersaglio era la maternità, il newyorchese Levin scrisse il libro quando la Barbie era sul mercato da più di dieci anni e, quasi sicuramente, le pagine del suo libro parlavano anche di lei.

E le somiglianze (cinematografiche) sono soprattutto con la versione del 2004 di Frank Oz, conosciuto in Italia con il titolo di La donna perfetta e con protagonista Nicole Kidman (antesignana della Robbie?), dove le mogli venivano descritte come “bambole ideali” (e assomigliavano tutte, volutamente, davvero a delle Barbie).

 

Esplicita censura del patriarcato e (neo)femminismo anticapitalistico ripetutamente enunciato in ogni momento e luogo, divulgatrice della libertà di genere e coscienza di autonomia sessuale, come anche di diniego alla regola del matrimonio (e della maternità) in quanto ideale istituzionalizzato del patriarcato e, ancora, promotrice dell’abbattimento di qualsiasi difformità ideologica (alla sua?) e della rimozione di ogni diversità, Barbie abusa però della sua eccessiva scrupolosità e rischia di essere elaborato come prova di forza mainstream incapace però di articolare davvero temi di valore, livellandone le problematiche per renderle comprensibili (e appetibili) a chiunque ma portando le sue istanze, così prepotentemente “social” e così tremendamente “trend”, alle sue estreme conseguenze.

Cercando di rivolgersi a tutti finisce in realtà per non rivolgersi a nessuno perché Barbie il (suo) pubblico già lo conosce, già lo include (nella ideologia del film) e lo ha conquistato prima ancora che entri in sala ma così facendo dialoga esclusivamente con chi è già convertito (al suo credo) mentre gli altri, semplicemente, non vengono nemmeno contemplati in quanto stupidi maschi(listi) e quindi, per (loro) definizione, irrilevanti (a meno che non paghino il biglietto per vedere il film, naturalmente).

 

Il main trailer di 'Barbie', con Ken che esiste solo grazie a lei

 

Ma è il lavoro del cast ad essere straordinario, a partire proprio dai protagonisti Margot Robbie (anche produttrice), splendida nel ruolo di Barbie Generica (forse solo un pò troppo sensuale per una bambola dichiaratamente asessuata), e Ryan Gosling che nel ruolo di un sorprendente Ken spesso riesce a rubare la scena, fino a tutti i (tantissimi) comprimari, in ordine sparso America Ferrera, Michael Cera, Will Ferrer, Simu Liu, Kate McKinnon, Ariana Greenblatt, Emma Mackey, Issa Rae, Kingsley Ben-Adir, Connor Swindells, Hari Neff, Emerald Fennell, Alexandra Shipp, Ncuti Gatwa, Dua Lipa e John Cena.

 

In definitiva Barbie è prevalentemente una satira grottesca (ma il termine più corretto forse sarebbe farsa) e una chiara operazione commerciale, tesa a ricollocare un prodotto in un nuovo scenario storico, merceologico, ovviamente, ma anche e soprattutto concettuale (addirittura filosofico?), e se la consideriamo esclusivamente come commedia, tra canzoncine kitsch e situazioni paradossali, potrebbe anche funzionare ma commette spesso l’errore di prendersi maledettamente sul serio, specie nei dialoghi, puntando a essere una specie di manifesto femminista tout court per il nuovo secolo che finisce però per promuovere quasi esclusivamente la solitudine, estremizzata e che mira a fagocitare qualsiasi genere di relazione, e il sacrificio, purtroppo necessario pur di combattere il patriarcato, come unico (!?) modello “vincente” possibile, ad oggi, per una donna.

Un po' eccessivo, no?

Oppure, molto più semplicemente, Barbie "è una pessima idea che però ci farà guadagnare un sacco di soldi”.

P.s, L’hanno detto loro. Non io.

 

barbie film

 

VOTO: 5

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