Regia di Greta Gerwig vedi scheda film
Barbie è un'occasione mancata che regala isolati momenti di divertimento in un film irrisolto e poco brillante, dove la pretesa di denuncia femminista dell'autrice mal si è conciliata con i milioni spesi della Mattel per rilanciare il suo prodotto. Solo i bravi protagonisti Robbie e Gosling salvano uno script sbagliato dal disastro completo.
Nella caleidoscopica e plasticata utopia femminista di Barbie Land vivono in armonia infinite versioni delle bambole Barbie e Ken, per come la Mattel le ha commercializzate nei decenni di successo del suo prodotto più celebre. Se vi sono Barbie Presidenti, Premi Nobel, avvocati eccetera, Barbie Stereotipo (Margot Robbie) sembra incarnare tutti i cliché della originaria bambola degli anni Cinquanta, finché la vacua serenità della sua esistenza viene turbata da pensieri di morte, appiattimento dei piedi e smagliature da cellulite. Per scoprire la causa di tali sciagure si rende necessario un viaggio nel mondo reale, alla ricerca della bambina che giocava con lei, che potrebbe averle trasmesso tali negatività. All'impresa si unisce il vanesio e platinato Ken (Ryan Gosling), perennemente innamorato di lei e costretto come gli altri maschi dallo stesso nome, in quel mondo femmineo a misura di bambina, a vivere del suo sguardo e delle sue attenzioni, privo di uno scopo e di un'identità autonome. Giunti a Los Angeles, Barbie incontra il CEO della Mattel (Will Ferrel) e scopre con sgomento di non essere universalmente amata come era convinta, ma di essere disprezzata da alcune adolescenti come icona del capitalismo e addirittura chiamata “fascista” proprio dalla ragazzina sua proprietaria (Ariana Greenblatt ). Poi però viene fuori che a trasmetterle energie negative era la madre insoddisfatta (America Ferrera, irriconoscibile dai tempi di Ugly Betty), segretaria impiegata proprio nella casa produttrice. Ken invece si esalta a scoprire che esiste una realtà dove gli uomini non solo conducono un'esistenza indipendente, ma addirittura occupano i posti di comando.
Barbie promette bene con un incipit citazionista addirittura di 2001 Odissea nello Spazio (con la bambolona nuovo monolite) e un'introduzione abbastanza gustosa alle varie amenità di Barbie Land , mapurtroppo dopo una mezz'ora scarsa si spegne rivelandosi un'opera molto meno brillante di quanto mi aspettassi. La regista Greta Gerwig e il marito co-sceneggiatore Noah Baumbach azzeccano alcuni momenti divertenti e sequenze riuscite : i piedi delle bambole perennemente deformati per adattarsi a tacchi vertiginosi, le lacrime di delusione della protagonista quando viene appellata “fascista” da ragazzine saccenti, la scoperta del mondo reale sul lungomare di Venice Beach , il ballo dei Ken in puro stile musical. Tuttavia per lunghe parti gli autori si prendono troppo sul serio e smarriscono l'ironia in una palude di verbosità e prediche moraleggianti, incorrendo anche in problemi di ritmo per una pellicola dalla durata eccessiva.
Il film imbocca la strada sbagliata per aggiornare al mondo attuale il mito infantile della Barbie, ma non ha nemmeno il coraggio di attaccarlo e farlo a pezzi , cosa che d'altronde sarebbe stata impossibile se pensiamo che tra i produttori del film c'è proprio la Mattel. Restando in mezzo al guado senza imboccare né la strada della satira né quella nostalgica della celebrazione dell'icona pop, racconta piuttosto di una crisi individuale che resta però senza soluzione né catarsi, e senza un convincente percorso di crescita personale della sua protagonista (mi rifiuto di considerare tale la manipolazione escogitata per riprendere il potere a Barbie Land!). Per un film su un bambolotto che ha – a suo rischio e pericolo - scelto di impartire lezioni al pubblico, stupisce che nessuno dei protagonisti, né maschili né femminili , arrivi a comprendere la fatica e la responsabilità necessarie a farsi strada nel mondo reale, e tutti continuino alla fine a pensare che si è Premi Nobel o giudici della Corte Suprema perché si è stati così brandizzati dalla Mattel e conseguentemente dotati di accessori adatti al ruolo: nessuno impara che ci vogliono anni di impegno, studio e fatica per arrivare a certe posizioni. Un film quindi superficiale ed inconcludente, dove anche le questioni sui diritti delle donne care alle regista sono affrontate con scarso mordente satirico e con eccesso di tono predicatorio, con un piatto monologo sulla difficoltà di essere donna che suscita sbadigli e poi inscenando una fiacca guerra tra i sessi che rimane a livello superficiale. Le stessa premessa che il mondo della bambola Barbie rappresentasse un'utopia femminista è quanto meno discutibile e sembra più una captatio benevoltatiae dell'autrice nei confronti della Mattel finanziatrice, ansiosa di rappresentarsi come al passo coi tempi, anzi addirittura anticipatrice. Si sprecano idee promettenti come la rivolta di (e dei) Ken, relegato al ruolo di accessorio nella Barbie Land che poi scopre il potere degli uomini (e dei cavalli!) nel mondo reale e cerca di replicarlo “in patria” convincendo le Barbie finora dominanti a sottomettersi al patriarcato (non si capisce però come). Era comunque uno spunto interessante che poteva essere approfondito meglio, anche indagando sull'interiorità di Ken che invece, nonostante la buona interpretazione di Gosling, rimane un personaggio-bambolotto, un eterno adolescente. Un altro personaggio maschile che poteva risultare interessante, Allan, di fatto emarginato perché diverso dai Ken, rimane un abbozzo privo di sviluppo che appare in pochissime scene. Pure la madre e figlia umane trascinate nel mondo delle bambole sono due personaggi che non lasciano il segno (va un po' meglio alla figlia che almeno ha l'occasione di insultare il suo ex gioco d'infanzia preferito), e l'intera dirigenza della Mattel, Ferrel compreso, è francamente un pasticcio insopportabile.
Oltre al gusto camp dei costumi e delle scenografie rosa pastello o shocking che ricreano le varie case e accessori di Barbie venduti come imprescindibili complementi del giocattolo a generazioni di bambine, la cosa migliore sono i bravi interpreti che fanno salti mortali per ravvivare le parti che sono state scritte per loro, riuscendo a salvare la pellicola dal disastro. Margot Robbie supplisce in parte ai limiti dello script e riesce a rappresentare l'evoluzione dall'ingenua bambola dai piedi verticali alla donna che nel finale si presenta alla sua prima visita dal ginecologo molto meglio di come faccia la sceneggiatura che le è stata affidata. Ryan Gosling è effettivamente nato per essere Ken e, forte della sua esperienza nel musical , si cimenta con energia e verve nelle canzoni e nei balletti (“I'm just Ken, anywhere else I'd be a ten”).
Barbie di Greta Gerwig è un'occasione mancata che regala isolati momenti di divertimento in un film irrisolto che non è né carne né pesce, dove la pretesa di denuncia e critica femminista dell'autrice mal si è conciliata con i milioni spesi della Mattel produttrice del film, interessata al marketing , al merchandising e al product placement, che finge di accettare qualche stilettata sulla dirigenza tutta al maschile per rilanciare il suo storico prodotto alle nuove generazioni, ormai nipoti delle prime acquirenti. Con queste premesse economiche sarebbe probabilmente venuto meglio un film volutamente promozionale e celebrativo, magari fatto con ironia e toccando le giuste corde di nostalgia.
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