Regia di Greta Gerwig vedi scheda film
Sotto un ghigno malefico l'attrice e produttrice Margot Robbie impersonifica una delle bambole più involutive e squallide che l'occidente abbia mai partorito, Barbie. Diretto da Greta Gerwig, regista statunitense che si era già fatta notare con il buon "Lady Bird" e con la mediocrata "Piccole donne", si stravende al rosa shocking vomitevole di cui questa pellicola - se così si può chiamare - si riveste. Un film che vorrebbe parlare della condizione della donna, delle sue nevrosi, delle sue insicurezze e anche del mansplaining ma che cade diritto nel ridicolo, il tutto per colpa di una retorica che pervade ossessivamente le tematiche ricorrenti già citate. Il perché di questa mia affermazione? Semplice: una bambolotta di scarso valore prende posizione nei multisala, inganna il pubblico proponendo una storiella basata sulla critica fatta da decenni alle Barbie, viste da alcuni giustamente come fenomeno mediatico negativo per la crescita psicologica delle bambine che ci giocano e ne emulano le gestualità (trucco pesante, gambe perfette, niente masgliature) ma al contempo viene presentata al cinema con gadget, merchandise, vestiari ed oggettivi vari che fanno riferimento alla discutibile cultura della bambola.
In tutto ciò quale utilità avrebbe la pellicola della Gerwig? Nessuna poiché la critica potenzialmente valida arriva a malapena in superficie e viene inondata da stereotipi tipici della subcultura nazifemminista che ha invaso l'internet negli ultimi anni, quello che personalmente definisco il lato più sbagliato, che oscuro, del femminismo odierno. Vedere una Margot Robbie forzata, un Ryan Gosling laccato dalla testa ai piedi, un Michael Cera sprecato ed un Will Ferrell macchiettistico fa venire una tristezza immonda, ma d'altronde altro non mi potevo aspettare che una ruffianata. Il problema viene a galla quando tutti i discorsi morali fatti nel film - giusti sottintendo - diventano il mangime della povera sceneggiatura con cui è costituito, ed è lì che bisogna preoccuparsi. Un film che parla di femminismo, ma che al contempo si rivolge ad una fascia di età intermedia non può avere la faccia tosta di marciare su anni di lotte per i diritti delle donne per poi girare la frittata e fare un giro su se stesso. Un film come "Barbie" senza franchise non esiste, per cui mi è impossibile prendere sul serio la satira che la Gerwig mette in scena. Colpo basso sicuramente, ma spero solo che la regista torni a girare qualcosa di più dignitoso, perché umanamente parlando con una pellicola simile si potrebbe giocare una carriera, certo non con gli incassi... quelli andranno più che bene.
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