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Esterno notte

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Esterno notte

di Gangs 87
8 stelle

Italia, 1978. Le Brigate Rosse provano a tenere in pugno il paese perpetrando violenza e seminando terrore. I loro atti disumani culminando il 16 marzo con il rapimento di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, proprio nel giorno dell'insediamento del governo che avrebbe dovuto suggellare un'alleanza senza precedenti proprio tra la DC e il Partito Comunista Italiano. La sua prigionia terminerà cinquantacinque giorni dopo con il ritrovamento del suo cadavere in un'auto, a Roma, a metà strada tra le sedi dei due partiti.

 

Marco Bellocchio torna su uno degli eventi più angosciosi che hanno finito per rappresentare il ’78, che lui stesso aveva già trattato nel 2003 con il lungometraggio Buongiorno, notte mostrandoci il tragico fatto attraverso gli occhi di Chiara, la ragazza che dopo il rapimento del politico fece da vivandaia all’uomo, che con fatica cercava di conciliare la lotta armata con la vita di tutti i giorni. Con questo lavoro che non è assolutamente uguale al primo, Bellocchio espande i punti di vista, come a voler approfondire qualcosa che merita uno sguardo in più, più dettagliato e da diverse prospettive, affinché lo spettatore possa avere un quadro se non chiaro quantomeno minuzioso di ciò che accadde. Il regista divide il racconto in sei capitoli in ognuno dei quali racconta lo stesso evento attraverso i principali protagonisti.

 

1.Aldo Moro – rappresentare un uomo che ormai è divenuto simbolo poteva essere impresa ardua e rischiosa. Farne una macchietta, ridursi all’atto estremo di emulare senza riuscire ad interpretare era un rischio che  Bellocchio credo abbia messo in conto, ampiamente. Sarà per questo che ha deciso di affidarsi alla professionalità e alla pacata recitazione di Fabrizio Gifuni che incarna Aldo Moro in un modo talmente viscerale ed intenso che finisce per somigliargli, impressionando. Allora Moro diventa sì simbolo ma mai martire. Simbolo di liberazione dagli schemi prestabiliti, da leggi silenziose che animano l’oscuro mondo politico, sporco di presunzione e arrivismo paranoico, macchiato del sangue di coloro che hanno tentano di fare luce in quel perenne buio in cui si orchestrano le malefatte peggiori anche senza fare nulla.

 

2.Il ministro degli interni – ah Cossiga, Cossiga. Burattino nelle mani degli esperti burattinai. Incapace di salvare il padre politico (e non solo), colui che ha reso possibile non solo la sua candidatura a Ministro degli Interni ma anche la successiva riconferma. Più Francesco ripercorre la sua carriera politica, più si sente colpevole dell’inerzia in cui i suoi colleghi sembrano volontariamente caduti, più si rende conto di quanto sia impotente davanti alle decisioni altrui e quindi incapace di decidere anche solo per la sua coscienza.

 

3.Il Papa - Papa Paolo VI non si rassegna. Indice preghiere, trattative segrete, raccoglie 20 miliardi di lire per pagare il riscatto, mai richiesto dalle BR, nell’estremo tentativo di liberare il suo amico Aldo Moro. Eppure nemmeno lui sembra riuscire ad arginare lo strapotere politico. Prima frenato dalle forze armate poi velatamente ignorato da Andreotti, allora Presidente del Consiglio, infine quasi deriso dagli stessi rapitori che non cedono alla dimostrazione di prove sullo stato di salute del presidente della DC e mandano a vuoto ogni tentativo di mediazione. Il senso di impotenza che anima Papa Paolo VI è palese nello sguardo e nei gesti, a volte esagerati, di Toni Servillo; estrema la sua interpretazione che affiancata a quella di Gifuni diviene, con dispiacere di ammissione, quasi caricaturale.

 

4.I terroristi - Adriana Faranda è l’ultima arrivata. Tra prove di fedeltà e contrasti interni, le BR vivono momenti angoscianti, nel periodo che va dall’osservazione delle abitudini e degli spostamenti di Aldo Moro fino alla messa in pratica della loro folle decisione di uccidere il presidente della DC. Come qualcuno ad un certo punto predice, sarà proprio quell’estrema follia a creare la crepa definitiva che porterà alla disgregazione del gruppo terroristico ma allora nessuno ne aveva nemmeno il sentore.

 

5.Eleonora – l’amata Noretta il cui amore Aldo non ha mai manifestato o almeno ha smesso di farlo da tempo. Tra ricordi di lettere andate che tornano a farsi leggere in una forma meno romantica e più angosciosa, tra l’impossibilità di operare per l’uomo che ama e la necessità di sottostare a regole dettate da leggi mai scritte, Eleonora Moro si immola al dolore silenzioso e diventa portavoce delle angosce della famiglie e del popolo, incapace di accettare una fine atroce e violenta che muterà il destino politico del nostro paese. Ad interpretarla Margherita Buy, attrice da sempre apprezzata ma qui non convince mai davvero.

 

6.La fine – non è mai una sola. Forse dipende dal modo e dal punto da cui la si guarda. E infatti Bellocchio ne mostra due.La prima di Tarantiniana esecuzione, ci mostra un Moro liberato, scosso dall’evento ma convinto nella decisione di lasciare la DC ed ogni carica politica. Debitore verso le BR che gli hanno ridato la libertà che la politica invece, da sempre, gli aveva negato. La seconda è quella vera, quella storica, con il ritrovamento del cadavere di Moro, i funerali privati e poi quelli di stato senza il feretro del presidente negato dalla famiglia, ferma e decisa sulla necessità di distanziarsi da un mondo troppo distante dagli ideali di Moro che viene ucciso due volte:  quando nessuno dei suoi “amici” fa nulla per salvarlo e quando quegli stessi “amici” fanno di tutto per non ammettere le proprie responsabilità.

 

L’opera di Bellocchio è mastodontica. Pregna di storia, di fatti reali ma anche di sentimenti e sensazioni di umori. Di paure e responsabilità. Di conseguenze. Di rotture mai sanate e mai sanabili. È il mostrare in modo indelebile quel segno rosso che da quel lontano 1978 in poi si è creato tra lo stato italiano e il non più suo popolo.

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