Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
A quasi vent'anni da Buongiorno, notte, Marco Bellocchio torna sul luogo del delitto (Moro) ancora una volta sotto l'egida produttiva della RAI e con un racconto con parecchie licenze letterarie e scantonamenti semionirici. La vicenda spartiacque della storia italiana dell'ultimo mezzo secolo è raccontata con un'opera fluviale (prima al cinema in due tranches, quindi su Rai Uno in forma di miniserie in sei puntate) che, di volta in volta, colloca al centro uno dei personaggio chiave: il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, ovviamente, rapito a Roma nel marzo del 1978 e ucciso due mesi più tardi dopo una lunga detenzione in un anfratto di un appartamento di via Montalcini, alla Magliana. E poi Cossiga (nell'eccellente interpretazione di Fausto Russo Alesi), all'epoca ministero dell'interno, destinato da lì a sette anni a diventare la prima carica dello Stato; il valetudinario papa Paolo VI, affidato a un Toni Servillo che, come sempre, interpreta Servillo; la moglie dello statista DC, Eleonora Moro (Buy), i brigatisti (con uno zoom su Valerio Morucci e Adriana Faranda) e l'esito finale. La confezione è apprezzabile, la scenografia d'epoca puntuale, ma il film - come il suo antecedente - sconta la zavorra di mamma RAI ed è davvero troppo pilatesco. Cossiga ne esce come un uomo dilaniato mentre - come testimonia la documentazione raccolta da Pieczenick, inviato dagli americani a Roma per monitorare (e possibilmente pilotare) la situazione - fu l'artefice principale della morte di Moro insieme a Giulio Andreotti. Non va dimenticato che Moro era inviso a Washington per via del tentativo di portare il PCI in appoggio al governo e che le rivelazioni che avrebbe potuto fare durante i "processi" delle Brigate Rosse avrebbero fatto saltare diverse poltrone. Come se non bastasse, Mario Moretti pare quasi un comprimario, mentre all'epoca non solo era il leader indiscusso delle BR, ma - con ogni probabilità - era anche una talpa che manovrò questo manipolo di esaltati di cui Bellocchio fornisce un'approssimazione caricaturale. Troppe, nel suo caso, le coincidenze, da non meritare un posto di riguardo in una serie di oltre sei ore di durata: il mantenimento agli studi da parte del marchese Casati Stampa, la frequentazione dell'anticomunista Luigi Cavallo, gli studi con don Giussani, i vicini di casa come Antonino Allegra, questore di Milano: nomi che, a chi conosce quelle vicende, dicono già moltissimo. Tutte coincidenze che lasciano pensare a lui come il vero deus ex machina di un'operazione concordata con servizi segreti americani, SISDE e vertici DC. Invece in Esterno notte - nonostante la pretesa di raccontare il muro di gomma dei vertici democristiani - la vicenda sembra risolversi in modo parzialmente assolutorio (dico e non dico), con i mammasantissima scudocrociati che sembrano agire nel nome della ragion di Stato (la famigerata "linea della fermezza"). Tutto troppo edulcorato e troppo poco politico, al punto da portare a preferire a questo film Il caso Moro, l'opera certamente meno oleografica e più sanguigna di Giuseppe Ferrara.
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