Regia di Fritz Lang vedi scheda film
Il testamento di Fritz Lang: Mabuse torna dopo 27 anni e diventa il simbolo di uno dei mali della nostra epoca. Tecnicamente superbo, con una sceneggiatura perfetta nel dosare informazioni, tensione e colpi di scena, e interpreti esperti e a loro agio. Un capolavoro, perché oltre alla perfezione tecnica contiene la diagnosi di un'epoca.
Ogni film-testamento di un grande regista merita una visione più attenta. Nel caso di Fritz Lang, poi, non si tratta semplicemente di un "grande regista", ma di un maestro del cinema, uno dei padri del cinema narrativo classico. Ecco, dopo più di 40 anni, Lang chiude la sua irripetibile carriera tornando agli inizi, ossia a quel camaleontico Dottor Mabuse che è stato simbolo, di volta in volta, delle paure che il suo padre cinematografico scrutava nella società del proprio tempo. Se nel primo film di Mabuse (1922) Lang ha affrescato la Weimar dell'iperinflazione, con un occhio di riguardo al potenziale "malvagio" della psicoanalisi (che proprio in quegli anni si mise al servizio della pubblicità), nel secondo film, del 1933, Lang ha preso di mira il nazismo: il personaggio di Mabuse era infatti un perfetto Hitler - o forse Hitler un perfetto Mabuse?
A 27 anni dall'ultimo Mabuse, dopo tanta acqua passata sotto i ponti (in un dialogo: "Come mai a un certo punto abbiamo cessato di occuparci di Mabuse?" "Perché abbiamo avuto altro a cui pensare"), ecco che il camaleontico genio del male, reincarnatosi nel figlio, diventa simbolo di uno dei mali della nostra società: la totale perdita della privacy. Il titolo originale del film, I mille occhi del Dottor Mabuse, è, a riguardo, molto chiaro. La trama è intricata, ed è meglio evitare di parlarne: la sceneggiatura è perfetta nell'aggiungere pian pianino tutti i tasselli, per cui spoilerarla significherebbe rovinare la ricezione dell'intero film. Gli attori sono tutti esperti mestieranti ben diretti dal Maestro; la regia è, come di consueto per Lang, estremamente asciutta e tecnicamente da manuale; la sceneggiatura, come già anticipato, è sapientemente dosata, spiega tutto ma gradualmente, è priva di tempi morti e mantiene alta la tensione con notevoli colpi di scena. Oltre alla perfezione tecnica, a quest'opera si aggiunge il carattere "testamentario", che la rende ancora più ricca perché acquisisce un valore quasi profetico.
È impossibile descrivere in una recensione la superba maestria tecnica di Lang, mai virtuosistica ma sempre al servizio della potenza narrativa, se non con un misero "è da manuale"; tant'è che, sulla bravura di Lang, sono già stati scritti molti libri. L'unica cosa che è possibile fare in questa sede è invogliare il lettore a vedere questo film non soltanto una ma più volte, in modo da poter penetrare maggiormente il perfetto meccanismo che lo muove. Non riesco a spiegarmi come questo film sia stato sottovalutato dalla critica: si tratta indubbiamente di un capolavoro, perché oltre alla perfezione tecnica c'è la diagnosi della nostra epoca.
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