Regia di Lewis Milestone vedi scheda film
Uno dei migliori film bellici di sempre.
All'Ovest niente di nuovo è tutto il contrario del romanzo classico di formazione. Le peripezie qui non fanno maturare i protagonisti, ma ne smontano pietra su pietra l'impalcatura dell'esistenza, dalla cima alle fondamenta. Assistiamo alla devastazione a tutti i livelli e in tutti i sensi di un manipolo di ragazzi che dovrebbero essere invece nel pieno rigoglio dell'esistenza. La guerra li travolge violentemente e trasversalmente, senza fare sconti a nessuno, costringendoli ad attraversare tutti gli stadi della decadenza di un giovane: la chimera di una gloria imperitura e di un fantomatico posto nei libri di storia evapora immediatamente, perché il primo bombardamento svezza immediatamente i ragazzi ponendoli di fronte al tragico apparir del vero; la presa di coscienza fa poi spazio al disprezzo di sé - ho ucciso un uomo, ho davvero ucciso un uomo, che non conoscevo, che non aveva nessun motivo per essermi nemico, ed aveva una sua storia e una sua famiglia: di quale scelleratezza si sono macchiate queste mani! - al disprezzo della patria e persino delle proprie origini e della propria famiglia, e infine al disprezzo del mondo intero.
I giovani soldati sono il gradino più basso della mostruosa piramide della guerra. In cima, ci sono i governanti, che si muovono guerra fra loro quasi solo per capriccio, e sono i convitati di pietra del film: non compaiono mai, eppure sono la causa prima di tutta la lunga teoria di disgrazie. Memorabile in tal senso il simposio fra i commilitoni, più acuto e pregno di centomila trattati di filosofia bellica: «Come fa una nazione a offenderne un'altra? Vuoi dire che una montagna della Germania si arrabbia con una montagna della Francia?». Più in basso rispetto ai governanti, ci sono gli imbonitori, quei parrucconi che a mo' di omini di burro chiamano a raccolta i giovani perché si avviino al Paese dei Balocchi delle trincee e delle bombe. E più in basso ancora, la carne da macello.
Malgrado lo sfiorire inesorabile dei loro giorni migliori, non mancano però momenti di fugace allegria, se non di felicità. Una facezia buttata lì in trincea, o una razione doppia di zuppa di fagioli, o l'estasi di una notte passata con una donna francese: l'attaccamento alla vita diventa tanto più viscerale quanto più essa scorre via, ogni occasione per dimenticare il disprezzo e la sfiducia nel mondo diventa un monile di inestimabile valore. Il finale racchiude quindi queste opposte tensioni che animano l'uomo e il soldato, facendole convergere e portandole al più alto grado. Paul, dopo aver perso anche il suo ultimo amico più caro, mentre è in trincea protende la mano verso una farfalla esponendosi al fuoco nemico e andando quindi incontro alla sua morte. Se si può dire che il senso della storia dell'uomo sta nella guerra, in questo azzannarsi animalesco, in questa eterna divisione contro natura fra classi ed interessi, che conduce sempre fatalmente al conflitto, si può anche concludere che il senso dell'anima e della vita umana è invece nella ricerca di quella farfalla, nel trovare un barbaglio di luce, anche nel fango più limaccioso, nella tenebra più fitta, nella disgrazia più nera.
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